Che noia essere figli belli e ricchi di una amorevole famiglia di trafficanti di armi! Roy e Linda sono fratello e sorella ,ma nutrono entrambi un profondo attaccamento reciproco che fa sospettare che qualcosa di più morboso e proibito si nasconda in quella condivisa relazione che li tiene uniti. Dopo una lite in famiglia, Roy decide di ribellarsi e, seguito dalla sorella e dall'affascinante fidanzato di lei, José, decidono di dedicare il loro abbondante se non esclusivo tempo libero, scovando, seviziando e derubando coppie di ricchi in vacanza presso quel paradiso caraibico in cui costoro hanno occasione di vivere, travestendosi come i "drughi" del celebre film Arancia Meccanica, al fine di celare le rispettive identità.
Il giorno in cui le circostanze li porteranno ad uccidere gli abitanti di una splendida villa sul mare, scoprendo che si tratta di trafficanti di droga, ed arrivando ad impadronirsi di un ingente bottino di stupefacenti di proprietà di un tenuto boss della malavita locale, per i tre giovani, a cui si unirà altresì una avvenente prostituta unica sopravvissuta del massacro alla casa, inizieranno i guai seri.
Forte di un titolo gaglioffo con il quale il talvolta talentuoso Enzo G. Castellari - artigiano di molto cinema action italiano con ambizioni verso i mercati internazionali e girato con mezzi di fortuna, ma esiti spesso al di sopra di ogni previsione - fa il verso al celebre film di Quentin Tarantino (che a sua volta omaggiò Castellari con il suo ottimo Inglorious Basterds), Caribbean si dimostra ahimè uno scult indifendibile e senza un appiglio che possa minimamente salvarlo dalla spazzatura a cui qualitativamente non può che essere destinato.
Storia sciagurata, scritta pedestremente, scene action puerili e "telecomandate", fintissime e goffe, attori-canini tutto fisico scolpito e belle acconciature a boccoloni biondi, buttati a caso a recitare un canovaccio di sceneggiatura risibile stile telenovela di terz'ordine, ed impegnati in prestazioni softcore degne di un film a luci rosse di un D'Amato sfornato senza soluzione di continuità come ai tempi della produzione "a catena di montaggio"; e ancora, come se non bastasse, dialoghi da pelle d'oca, fotografia sciatta con una smodata tendenza a scandire i momenti cardine delle supposte deviazioni narrative, tramite una snervante e fastidiosa ripetizione seppiata o in bianco e nero della scena d'azione appena conclusa.
Insomma una débâcle totale, per un filmetto puerile imbarazzante che si prende l'autolesionistico lusso di citare anche Kubrick (come accennato sopra), e di chiamare con nome dell'amico Tarantino, il sadico boss numero uno della malavita locale caraibica.
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