Regia di Tinto Brass, Luigi Comencini, Mauro Bolognini vedi scheda film
Negli anni sessanta contavano i produttori: i film ad episodi nascevano per volere di una casa produttiva. Tra i più potenti c’era Dino De Laurentiis, che sposò Silvana Mangano quasi per rivaleggiare con Carlo Ponti, coniugato a Sophia Loren. Ma Dino aveva fatto i conti senza l’oste: alla Mangano non interessavano i lustrini cinematografari a cui ambiva la Loren. Lei era oltre, cercava l’inusitato, osava Pasolini e Visconti. Troppo malinconica per essere una star, certamente una diva secondo il concetto puro di diva: eterea, vellutata, sfuggente. Quando il dolore ha superato la sopportazione si è ritirata, solo di rado si è fatta vedere (Dune, Oci ciornie – rifiutò anche il ruolo di Elena adulta in Nuovo cinema Paradiso perché già malata).
La mia signora è innanzitutto un omaggio alla Mangano nella sua stagione più rigogliosamente bella, e attraverso i cinque episodi del film (tutti di buona fattura) si (auto)proclama donna simbolo degli anni sessanta. Affiancata dal re di quel periodo, Alberto Sordi (che ha sempre affermato di aver coltivato una profonda amicizia con la Mangano), si fa rappresentare in diverse vesti, vuoi petulante moglie con la fissa degli uccellini e vuoi prostituta illusa, vuoi donna di enigmatica pignoleria e vuoi giovane moglie sfinita ed annoiata e vuoi fedifraga repressa. Il migliore è il secondo perché forse più completo e malinconico (di Comencini), ma non si sottovaluti il beffardo cinismo del primo, l’ermetismo buffo del terzo, la romantica freddezza del quarto e la tragicomica finale. Un film che è anche una dichiarazione d’amore, o almeno di ammirazione, come lo sarà Le streghe, più pericolosamente singolare.
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