Regia di Jake Scott vedi scheda film
È un bel film triste, seppure non privo, nell’aperto finale, di qualche barlume di speranza, Welcome to the Rileys, che racconta ancora una volta la difficoltà di elaborare il lutto gravissimo della perdita di un figlio. L’argomento è stato più volte trattato dal cinema, anche recentemente, con Tre manifesti a Ebbing, pellicola che torna alla mente vedendo questa, che la precede di parecchi anni, il cui avvio però è talmente simile da far pensare a coincidenze non del tutto casuali.
Era morta tra le fiamme, a soli quindici anni, una ragazzina che se n’era andata di casa una sera, quasi fuggendo, dopo una accesa discussione con sua madre: mentre scorrono i titoli di testa, sullo schermo appare lo spaventoso rogo che aveva avvolto l’auto su cui viaggiava la giovinetta, infilatasi sotto un camion, nel tentativo di sottrarsi all’inseguimento dell’auto di sua madre, che intendeva riportarsela a casa.
Nulla sarebbe rimasto come prima, dopo quella tragedia: erano passati otto anni ma per Lois Riley (Melissa Leo), annichilita e schiacciata dal rimorso, la sua attività di pittrice, ogni relazione sociale e la stessa vita di coppia avevano perso ogni senso: in attesa di morire continuava a tormentarsi, chiudendosi in casa e trascurando il marito, Doug Riley (James Gandolfini), uomo d’affari, con una vita sociale ricca, che ora non intendeva più seguirla nella sua disperazione senza fine. Uomo di profonda umanità, a New Orleans dove si trovava per un meeting di lavoro, aveva incontrato una giovanissima prostituta, Mallory (Kristen Stewart), sbandata, drogata e segnata da un passato di povertà culturale e materiale senza rimedio, e aveva considerato l’opportunità di aiutarla a ritrovare la propria dignità smarrita. Sarebbe stata per lui e, forse, anche per per Lois l’occasione per aprirsi nuovamente alla vita e all’amore che dopo la morte della figlia entrambi avevano drammaticamente ignorato. Una scommessa difficilississima, probabilmente senza prospettive, ma, intanto, il cinismo e l’indifferenza che Mallory riteneva indispensabili per difendersi dal dolore e dalle umiliazioni che non mancavano mai a una come lei, sembravano essersi attenuati, almeno un po’, quasi che la giovane, pur rivendicando la libertà delle proprie scelte, sapesse di poter contare sul loro saldo e disinteressato affetto…
Il film racconta, dunque, con linguaggio minimalista e asciutto, il dolore più atroce, ma allarga il proprio sguardo ai settori più marginali della società americana, alla solitudine profonda di chi ha dovuto cavarsela, fin da piccolo, senza aiuto alcuno, per sopravvivere alla fame e alla miseria, circondato dall’indifferenza generale e dal disprezzo, come era accaduto a Mallory, orfana di madre a quattro anni e cresciuta senza affetti e senza solidarietà. I racconti della giovane prostituta sono tra le cose migliori di questa pellicola, e nella loro durezza difficilmente si dimenticano
Il film, che è appena arrivato in Italia dove è presente solo a Torino in un’ unica sala, è del 2010. Con tutto comodo e con tempi lunghissimi, finalmente qualcuno, fra gli appassionati di cinema, è riuscito a vederlo; è in preparazione, però, per tutti gli interessati il DVD, così come, a quanto ho capito, sarà disponibile a breve in streaming sulla piattaforma Netflix. Dal 2010, anno di uscita del film nel resto del mondo, sono accadute molte cose: nel 2013 il principale grande protagonista, James Gandolfini, ci ha lasciati, mentre Kristen Stewart, anche lei magnifica interprete, ha ulteriormente perfezionato le qualità di attrice, già eccellenti; con otto anni in più, inoltre, noi cinefili duri e puri ci stiamo quasi rassegnando alla chiusura delle sale e alla visione televisiva dei film, nonché alla conseguente perdita di quella magia silenziosa della visione che ci aveva fatto amare il cinema. Il disappunto cresce considerando che Welcome to the Rileys è non solo un buon film, ma ha collezionato alcuni riconoscimenti internazionali: al Sundance del 2010, nonché ai festival di Berlino e di Los Angeles (in concorso) in quello stesso anno.
Meglio vederlo in sala, ma, in ogni caso, è un film da vedere!
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