Regia di Giovanni Maderna, Sara Pozzoli vedi scheda film
Si tira un sospiro di sollievo di fronte a film come Cielo senza terra. Il cinema italiano, quello vero, che mette in scena il territorio nazionale, e continua a pensare al rapporto tra spazio, macchina da presa, sguardo, corpo e politica, continua a essere praticato. Giovanni Maderna con Cielo senza terra trova una libertà inaudita nel movimento. Si sprofonda nella sensuale vertigine del viaggio che Giovanni intraprende con il figlio Eugenio, impegnati in una scalata al cielo in una zona di montagna nel parco della Grigna settentrionale, filmati dall’occhio di Sara Pozzoli. La forza di gravità tira giù il film, sulla terra, con l’occupazione della fabbrica da parte degli operai della Innse, mentre il discografico Giovanni Grandis rievoca la sua collaborazione con i Morgan, una band italiana degli anni 70. Maderna si guarda bene dall’intrecciare i tre movimenti del suo film. Tutto resta su un piano di con-presenza. Non c’è sintesi, solo dialettica. C’è il lavoro – del cinema, della fabbrica, della musica e dei corpi – e il mondo. Che Giovanni replica con Eugenio e Sara. Cielo senza terra chiama in causa la secca e sensuale matericità del cinema di Gianni Amico (si pensa a Tropici, per esempio) ma anche alle spinte più sovversive di Franchina e Bargellini (nonostante tutte le evidenti differenze del caso). Il cinema è un pensiero in atto: registra il movimento del pensiero, ma non lo fissa in un’immagine (unica). Con Cielo senza terra il cinema di Giovanni Maderna compie un balzo in avanti di spericolata bellezza.
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