Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Nei suoi film c’è sempre una ricerca di fronte allo smarrimento dell’identità o la presa d’atto che tale identità è fittizia, corrotta. I protagonisti dei film di Villeneuve si chiedono sempre “chi sono?” e la risposta è sempre tragica come nel teatro greco.
Di Villeneuve ho visto Enemy, Prisoners, Politecnique e Blade Runner 2049, dunque ho acquisito ormai gli elementi per farmi un’idea abbastanza completa del suo modo di girare, di raccontare storie. Per me il suo cinema è cinema d’autore come lo era quello di Kubrick e di Hitchcock, cioè d’autore come originariamente inteso dai Giovani Turchi della Nouvelle Vague. I film di Villeneuve hanno la sua impronta, la sua idea di messinscena, anche quando affronta il cinema di genere come in Prisoners e Blade Runner 2049. La luce fredda, i movimenti di macchina che entrao nella coscienza dei personaggi, come se la cinepresa fosse lì per rivoltarli. Ritrovo lo sguardo di Villeneuve distaccato e pure così caldo nello studente misogino e assassino che ammazza le ragazze in Politecnique, così come nel ragazzo cecchino che ammazza i ragazzini musulmani nel Libano distrutto dalla guerra civile della Donna che canta. La dedizione ai personaggi, ai loro sguardi, alla loro profonda disperazione, percorre tutto il suo cinema, con ovvie cadute. La ferocia umana, l’insensatezza dei gesti, le labirintiche strade che percorre il destino, la fatalità che accompagna sempre ogni evento. Nell’abisso in cui precipita il protagonista di Prisoners c’è la stessa disperazione che spinge l’orfano della Donna che canta a diventare uno spietato cecchino e poi il torturatore e stupratore della sua stessa madre.
Nella Donna che canta c’è tanto degli altri film: c’è il tema dello sdoppiamento come in Enemy (i gemelli, il duplice ruolo dell’essere padre-fratello, figlio-amante, vittima-carnefice); c’è il tema dell’identità come in Blade Runner 2049 in un contesto di perdita di senso dell’essere; c’è il tema dello smarrimento di fronte alla follia in Politecnique e in Prisoners, il tentativo di decifrarla questa follia, di cercarvi qualcosa di umano o di comprensibile umanamente.
Nei suoi film c’è sempre una ricerca di fronte allo smarrimento dell’identità o la presa d’atto che tale identità è fittizia, corrotta. I protagonisti dei film di Villeneuve si chiedono sempre “chi sono?” e la risposta è sempre tragica come nel teatro greco. Ci sono domande che hanno risposte impossibili. Nella Donna che canta, che è il suo capolavoro, e che è uno dei film più belli e intensi degli ultimi anni, lo spettatore capisce molto prima dei suoi personaggi, ha più elementi per farlo, e questo ha senso nel suo cinema che mette al centro lo smarrimento dell’essere. Si crede di essere qualcosa e invece si è qualcosa ancora di altro, ma il saperlo non ci è di consolazione. Nella Donna che canta però il finale ha qualcosa di compiuto rispetto agli altri film, se in Enemy la comparsa del ragno nel finale simboleggia la disfatta, la ricaduta del protagonista nella tela in cui era caduto all’inizio, una sorta di trappola metafisica a cui non si sfugge. Non si scappa da se stessi, tutto prima o poi ti chiede il conto. I due gemelli della Donna che canta non vorrebbero capire, ubbidiscono alla volontà della madre, la figlia più volenterosa, il maschio a malincuore, compiono un viaggio nel passato della madre, pensano di scoprire qualcosa di lei che non sanno, la madre è un mistero per loro, soprattutto per loro come vedremo, e finiscono per sapere di se stessi più di quanto avrebbero voluto. Come ho già accennato noi che guardiamo il film ne sappiamo più dei protagonisti, come nei film di Hitchcock del resto, in cui il nostro vantaggio di spettatori era essenziale al meccanismo della suspence. Così in qualche modo il film mette in scena non tanto la ricerca della verità di una storia quanto quello che la verità costerà ai protagonisti. Veniamo esortati ad attendere con sgomento l’attimo in cui i gemelli capiranno, in quest’attesa il film non perde mai di ritmo. Arriviamo al finale che è davvero il compimento di tutto, benché la storia sembri circolare e ossessiva come in Enemy, a differenza di quest’ultimo si compie un passo in avanti, con la consegna delle due lettere, al padre e al figlio, la Donna che canta vuole porre fine alla spirale di violenze e atrocità che ha inghiottito il suo paese. Porre fine significa che ciascuno assume le proprie responsabilità facendo i conti con le proprie colpe ma significa anche perdonare. Dunque un film angosciante, cupo, terribile ma a differenza degli altri film di Villeneuve venato di ottimismo e di comprensione per l’umana follia.
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