Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Una donna muore, una verità riaffiora e per chi rimane, una difficile convivenza coi fantasmi del passato.
In un cimitero canadese viene posta una lapide senza nome in cui viene tumulata Nawal Marwan, un’esule libanese. La donna ha disposto che il proprio nome possa comparire sulla lapide soltanto dopo che i due figli gemelli, maschio e femmina, avranno consegnato due lettere, una al padre che credevano morto, l’altra al fratello che non sapevano di avere.
Il viaggio che i due gemelli intraprendono è un percorso formativo sulle proprie origini e sul passato di una donna, vittima di una tragedia più grande di lei.
Nawal si rifugia in Canada dalla guerra civile libanese, che ha insanguinato il paese per decenni. Un Libano mai menzionato direttamente perché a Villeneuve non interessa focalizzarsi su uno specifico conflitto, ma filmare le lacerazioni e le ferite che, indistintamente, ogni guerra lascia sulla pelle dei popoli.
Giocando sui contrasti, tra la quiete dell’algido Canada e il caos di un infuocato Libano, gli Incendies di Villeneuve divampano in un montaggio alternato, presente/passato, in cui nulla ci viene risparmiato: i massacri indiscriminati, gli stupri etnici, i bambini soldato. L’occhio del regista evidenzia questi aspetti, ma mai in primo piano, mai con compiacimento o pietismo ma non per questo in maniera meno forte.
Incendies è un film potente, ottimo per i primi ¾, cui possiamo perdonare un epilogo da tragedia greca tanto improbabile quanto scontato. Sulle incongruenze e le forzature del finale, per quanto fastidiose, si possono chiudere gli occhi, perché ancora vivide nella memoria dello spettatore sono le immagini di un popolo spaesato e confuso, di integralisti con l’effige della Madonna impressa sui mitra che sputano piombo, di bimbi cui viene strappata l’innocenza. E il canto di Nawal in carcere è un grido disperato di dolore e libertà, voce fioca ma determinata di tutti coloro che non si piegano, di tutti coloro che ancora resistono.
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