Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Dopo una domenica di sole, di tuffi nel mare, di pizza e scorribande sui motorini, quattro adolescenti napoletani violentano Irene, una loro coetanea ancora vergine. Il giorno dopo, uno dei quattro, Ciro, si autodenuncia e denuncia i suoi sventurati complici. Risultato: due anni da scontare nel carcere minorile di Nisida. Due mondi, quelli di Ciro e Irene: d’estrazione proletaria, di strada ed espedienti, ma vitale e colorato l’universo del primo; borghese, chiuso, silenzioso, algido lo sfondo della vita di Irene. Paradossi nei quali Antonio Capuano e il suo cinema si muovono come i pesci nell’acqua. Contraddizioni di una terra baciata dalla luce e odiata dai fausti destini. Spostamenti progressivi di crescite che si rincorrono all’incontrario, di sogni che tramortiscono sotto i colpi delle speranze deluse, di sguardi che si allontanano per tentare di avvicinarsi. Direttamente dalle Giornate veneziane degli Autori 2010, il nuovo, splendido volo (quella cinepresa, all’inizio del film, che dal cielo plana all’interno della prigione dove i ragazzini stanno giocando a pallone è un colpo di cinema come se ne vedono raramente) del regista di Vito e gli altri, Pianese Nunzio, Luna rossa e La guerra di Mario si discosta nervosamente e scorbuticamente dalla normalità delle immagini e dei suoni ricorrenti. Le inquadrature di Capuano sono gocce che perforano lo schermo, sono rumori che bucano i muri e oltrepassano le finestre bloccate dal ferro dei dolori e delle pene, sono parole scritte col pennarello su improvvisati brogliacci d’amore. All’interno di questo percorso, due volti inediti cercati per oltre un anno; l’eterea, diafana, quasi immateriale Irene De Angelis: e il picaresco, avventuroso e romantico Gabriele Agrio. Circondati da una Valeria Golino che ha scelto di imbruttirsi (baffi e sopracciglia pronunciati), da una Luisa Ranieri che ha rinunciato alla sua bellezza, da un Fabrizio Gifuni che ha prestato la sua esperienza teatrale e dall’ultimo Corso Salani, definito dal regista «perbene, solare, un incanto». È anche grazie a loro che la fine del film apre uno squarcio nel cuore.
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