Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Quattro ragazzi trascorrono una giornata al mare, tra tuffi dagli scogli, giochi d'acqua e canzoni "neomelodiche" alla radio. Passano la serata mangiando una pizza e girando in motorino per la città. Si imbattono in Irene (Irane de Angelis), una ragazza della Napoli "bene", e pensano di chiudere in bellezza la giornata aggredendola e abusando di lei sessualmente. Tra i quattro ragazzi c'è Ciro (Gabriele Agrio), che il mattino dopo si presenta dalle forze dell'ordine per denunciare l'accaduto. Verrà condannato a due anni di reclusione nel carcere minorile di Nisida.
"L'amore buio" di Antonio Capuano è un film dalla durezza tenera, percorso dall'esposizione sistemica della violenza giovanile e invaso dalla generosa lucentezza di una Napoli appena lambita dagli occhi distratti di due anime in pena. Vive di contrasti forti e ossessivi, come quello che alterna senza soluzione di continuità il sole acceccante che riflette sull'azzurro mare che circonda l'isolotto di Nisida e il buio pesto che ha imprigionato Ciro ed Irene in un identico luogo dell'animo. Si comincia con l'incontro violento di due universi cittadini molto differenti tra loro, quello del proletariato di quartiere assai prossimo alla devianza sociale l'uno, e quello alto borghese della Napoli alta l'altra. Si continua su due vie parallele seguendo l'evoluzione emotiva di due solitudini, separate dalle diverse ambientazioni in cui si sviluppano le rispettive personalità e unite da un rapporto epistolare che diventa la matrice fondamentale del vicendevole bisogno di attendere speranzosi un domani migliore. Ciro è un ragazzo difficile, sensibile e rissoso insieme, poco incline a seguire i consigli terapeutici della psicologa del carcere (Valeria Golino). Sviluppa nel periodo di detenzione una vena creativa che non sapeva di possedere, lavorando la ceramica e componendo poesie con grande costrutto. Ma soprattutto scrive, scrive ripetutamente ad Irene, perchè questo gli sembra il modo migliore per venire a capo delle sue ossessioni, mosso dall'urgenza di arrivare al cuore stesso della colpa che lo affligge e assillato dalla paura di aspettare invano, di non ricevere mai una risposta. Irene le nasconde in gran segreto quelle lettere, se le guarda, non le legge, poi le strappa e infine cerca di ricomporle come se si trattasse di un mosaico da cui poter ricavare importanti segni di adesione emotiva. Coltiva in perfetta solitudine il suo dolore, con dei genitori abbastanza assenti (Luisa Ranieri e Corso Salani) e un ragazzo assai egocentrico. Si affida alle cure di uno psicoterapeuta (Fabrizio Gifuni) e a lunghe passeggiate per i quartieri alla scoperta di una città che solo ora sta imparando a conoscere. L'uno è in una prigione fisica, l'altra è imprigionata in un ambiente da cui vorrebbe scappare, l'evento tragico che ha segnato le rispettive vite e che avrebbe dovuto irrimediabilmente sancire la netta separazione tra vittima e carnefice, si trasforma invece in una sorta di percorso carsico che, unendoli sottilmente nel segno di una chiara affinità emotiva, apre uno squarcio di luce in esistenze già precedentemente segnate dal male di vivere. Antonio Capuano è bravo a lavorare sui corpi dei due bravi protagonisti, a rifletterne l'umoralità senza speculare sulla pretesa "autorialità" dei silenzi o sull'eccessivo ricorso alla violenza minorile, e a definire per contrasto la limitatezza dei confini fisici e sentimentali di entrambi attraverso un ampiezza di sguardo che si rivolge verso l'infinità del mare. "L'amore buio" è un ottimo film, passato ingiustamente e inopinatamente inosservato nel panorama cinematografico nazionale. E' come una gratitissima sorpresa che uno si chiede come mai non venga messa in bella mostra tra i gioielli di famiglia visti i tempi grami a cui si fa sempre riferimento quando si parla della produzione filmica italiana. Del resto, questo è il triste destino che riguarda anche un ottimo autore di cinema (secondo me) come Antonio Capuano, che con un linguaggio cinematografico tendente a un'asciuttezza stilistica che guarda alla migliore tradizione del "realismo" italiano nel mentre cerca di innovarlo di nuova linfa, e che aderisce alla realtà metropolitana senza rimanere schiavo della necessità di rappresentarne i "totem" di una stereotipizzazione coatta, anzi, lasciando trasparire l'universale dietro il particolare rappresentato, meriterebbe ben altri riscontri che quello di rimanere ai margini delle "grandi discussioni" sul cinema italiano e non solo. Per fortuna però, nelle cose dell'arte è il tempo a essere spesso galantuomo.
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