Regia di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini vedi scheda film
Tre storie si intrecciano in uno squallido casermone della periferia romana: Marco, appena uscito di prigione, è stato lasciato dalla moglie e non può fare altro che tornare a spacciare droga; Sonia, studentessa universitaria, si mantiene lavorando in un baretto con annessa bisca; Federico, Massimo e Faustino sono tre bulli che gironzolano in perenne cerca di soldi. Un’umanità schiacciata dalla desolante assenza di prospettive, un ambiente in cui illegalità e omertà sono norme di comportamento indiscusse, minuscoli boss che discutono le loro strategie come se fossero i padroni del mondo, un finale duro e senza sconti per nessuno: un film ammirevole, girato con quattro soldi in pochi giorni, ma che non esibisce il suo poverismo e non si piange addosso. Bellissima la scena in cui Marco racconta a Sonia la vita del quartiere come lui la vede dal suo osservatorio (una panchina dove staziona tutto il giorno), senza che la macchina da presa si stacchi mai dai loro volti. E intanto un paio di domande tengono viva l’attenzione dello spettatore: chi è il misterioso padre di Federico? da cosa è alimentato il fuoco che vediamo ardere all’inizio? Un solo neo, l’uso della musica ‘alta’ (Vivaldi) per sottolineare con invadenza i momenti clou: vorrebbe chiaramente essere un omaggio al primo Pasolini, ma ormai mi sembra sia ora di lasciar perdere certi modelli che hanno fatto il loro tempo; qui tira un’aria nuova, e non si sente più il bisogno di richiamarsi alla lezione dei padri.
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