Regia di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini vedi scheda film
Bisogna esserci stati a Corviale, periferia ovest della capitale, bisogna aver penetrato quegli anfratti oscuri e fatiscenti del "serpentone", l'ecomostro più lungo d'Europa (un chilometro), aver visto con i propri occhi i cumuli di immondizia, i nomi divelti dai citofoni - epitome di una realtà sociale che ti priva del primo segno dell'identità, il nome -, le inferriate posticce davanti alle porte blindate, i graffiti ovunque, per capire cosa significa nascere e crescere in un contesto del genere. È una realtà che ti schiaccia, ti stritola, che annienta ogni sforzo di emancipazione. A emanciparsi ci prova Marco (Tesei), che vorrebbe rifarsi una vita dopo gli anni della galera ma che si trova accerchiato dagli amici di un tempo. E ci prova Sonia (D'Onorascenzo), studentessa che vive con la nonna e che dedica al lavoro presso la bisca locale il poco tempo che le rimane. Finirà vittima del branco, tre vitelloni sbandati che impiegano il loro tempo nichilista tra strisce di coca e atti di bullismo.
Dopo alcuni cortometraggi, i trentenni Matteo Botrugno e Daniele Coluccini esordiscono con un film che è un saggio di antropologia culturale, capace di guardare con impressionante verismo alle storie di questi ragazzi di strada che tanto avrebbero attirato l'attenzione di Pasolini. Alla consistenza dei contenuti e al nitore della messa in scena fa da sponda una maturità espressiva invidiabile, fatta di una sorvegliatissima direzione degli attori, tutti bravi e credibili, di un uso sapiente delle luci, della poesia di alcune scene e del ricorso spiazzante alla musica di Vivaldi.
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