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Et in terra pax

Regia di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini vedi scheda film

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La recensione su Et in terra pax

di Mulligan71
7 stelle

Facente parte di quel sottogenere cinematografico del "Cinema delle periferie", generalmente romane o del sud, "Et In Terra Pax", titolo preso da un'opera di Vivaldi, esordio di due registi romani, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, non spicca per originalità, ma ha senz'altro una forza autoriale notevole, elevandosi ben al di sopra delle produzioni medie di genere. La storia, o, meglio, le storie, sono minime, e finiranno per contaminarsi in un'unica trama, feroce, disperata, senza via d'uscita. Lo scenario è appunto quello della grande periferia romana, quella dove le "guardie" non osano quasi farsi vedere, quella lasciata in balìa della piccola criminalità, dello spaccio, del degrado e dei sogni scritti sui muri. Lo sguardo principale è quello di Marco, che si è fatto cinque anni in "gabbia" e recuperata la libertà torna a casa svuotato, quasi catatonico, con la vita in pezzi. Quasi estraneo alle vicende che gli ruotano attorno, dai piccoli boss di quartiere a un trio di sbandati che tira a campare, finirà per essere il suggello finale di una vicenda terribile. Il film è asciutto, privo di retorica, tutto dominato dal dialetto romano (che comunque si fa comprendere), forse, come già scritto, non propriamente originale, con i suoi personaggi già visti e stravisti, ma raccoglie proprio dagli attori e dagli ambienti, la sua forza cinematica, non mollando mai la presa per tutti i suoi veloci novanta minuti. Scomodare Pasolini viene naturale ma questo Cinema, questa Roma di periferia, ha un volto moderno, mai pietistico, e gli errori sono scritti sulla pelle dei protagonisti e su ogni miserabile angoscia dei palazzoni di cemento. Assolutamente da recuperare. 

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