Regia di Matías Bize vedi scheda film
“Me voy”. Andres vorrebbe dire ciao a tutti ed andare via. Si è fatto tardi, mentre lui domani mattina deve partire per un viaggio di lavoro, e non ha ancora fatto la valigia. Gli amici, però, lo esortano a restare: non lo vedono da un’eternità, lui, che è un giornalista giramondo, e poi la festa è appena cominciata. Pablo compie gli anni. Ogni volta, nella sua grande casa, si tiene un party con numerosi invitati: quella ricorrenza è un evento speciale, durante il quale, come ricorda Beatriz, a qualcuno succede sempre qualcosa di importante. Adesso è il turno di Andres. Non immagina che quello che, inizialmente, avrebbe dovuto essere un breve saluto alla compagnia di un tempo, sta per trasformarsi in un percorso retrospettivo, in grado di modificare il corso della sua vita. In quelle stanze, in mezzo a tanti volti conosciuti, e in parte dimenticati, quell’uomo di trentatré anni scopre di avere già molto alle spalle. E ritrova, drammaticamente, ciò che ha perduto. L’immagine di un amico morto in un incidente d’auto. La testimonianze di un amore lasciato non si sa perché. Le occasioni mancate, e il senso degli anni che scorrono infruttuosi, saltando da un’esperienza all’altra, in un andirivieni privo di obiettivi. C’è come un vetro che separa la sua esistenza irrequieta da quella degli altri, che si sono invece fermati, ed hanno costruito qualcosa di solido e concreto. Lui ha preferito continuare a cambiare direzione, come i pesci di un acquario, che nuotano avanti e indietro, senza sosta. Ma ora il riflusso dell’acqua spostata lo raggiunge, a più ondate, per ripresentargli le troppe pagine voltate prima di averle scritte per intero. Le frasi non dette ritornano; è costretto a pronunciarle, a violare i segreti che si è tenuto dentro. La parola, in questo film dall’impianto spiccatamente teatrale, è il mezzo con il quale si scava nei recessi dell’anima, per portare alla luce le verità gelosamente nascoste. Così anche il rimpianto prende forma, diventando una storia precisa, fatta di date, di luoghi, di avvenimenti, che circoscrivono i contorni degli errori commessi. Inoltrandosi nel dialogo, Andres viene travolto dal vortice della memoria, che gli presenta i conti in sospeso, e gli impedisce, una volta tanto, di tirare semplicemente una riga e darsi alla fuga. Rimettere in ordine i pezzi del passato è il primo passo verso la progettazione del futuro. Parlando e ascoltando, Andres è indotto a pensare. A riflettere sul modo per recuperare, in extremis, un significato complessivo al suo vagabondaggio: una conclusione da trarre, sulla base di ciò che nel frattempo ha capito o imparato, e da mettere in pratica per cercare di essere felice. La soluzione potrebbe essere una delle tante opportunità che gli vengono offerte, dai presenti, tutte utili a vincere la solitudine: giocare una partita di calcio come ai vecchi tempi, accettare la proposta piccante di una ragazza sotto l’effetto di funghi allucinogeni, oppure riprendere con Bea quel discorso così bruscamente interrotto. Andres può, e deve, scegliere, dichiarando apertamente le sue intenzioni. Non può congedarsi prima di aver compiuto quel gesto, divenuto ormai indispensabile. La vida de los peces è il cammino attraverso un labirinto esistenziale, cosparso di caselle a tema: l’amicizia, il gioco, l’amore, la trasgressione, il dolore. Il tabellone è pieno di punti interrogativi. Cosa sarebbe stato se. Ed è giusto – oltre che inevitabile - che alcuni rimangano senza risposta.
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