Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
La prenderò un pò alla lontana. E partirò dall'ultimo splendido film di Woody Allen. Cosa c'entra Allen? Assolutamente nulla. Però nel mio intimo di appassionato cinefilo il vecchio Woody e il suo anziano collega Clint Eastwood occupano due posizioni davvero speciali. Questi due signori rappresentano per il sottoscritto le figure poste al vertice di un ideale "palazzo del Cinema", rivestendo entrambi un triplice ruolo di Maestro: di Cinema, di Stile, di Vita. Sulle pagine del settimanale FIlm Tv in ogni numero, e ormai da molti anni, è riportato il nome di Eastwood, seguito da due paroline in inglese: "spiritual guidance". Ecco, per me Allen e Eastwood rappresentano proprio quello: sono le mie personali "spiritual guidances". La loro Arte ha segnato la mia vita, lasciando impronte che hanno contribuito a formare per sempre la mia personalità. L'umorismo di Allen in particolare, ha profondamente influenzato il mio modo di osservare il presente, al punto che certe persone a me molto vicine mi chiamano proprio così: "Woody". E ancora a proposito di lui, mi resta il rammarico di non avere recensito il suo ultimo film pur avendolo visto per ben tre volte. Ecco che anche in questo Eastwood e Allen sono da me idealmente accomunati: il mio amore verso la loro Arte rasenta la devozione, al punto che quando mi trovo a commentare ogni loro nuovo lavoro, mi assale un blocco totale che mi impedisce il ricorso alla parola scritta, ogni formula mi pare inadeguata. Ora proverò comunque a spendere qualche parola per questo immenso "Hereafter", ripromettendomi nei giorni a venire di recuperare la lucidità e l'impegno necessari per affrontare anche l'ultimo capolavoro di Woody Allen. Cominciamo col dire che "Hereafter" ha avuto su di me molteplici effetti, mi ha (nell'ordine): prostrato, piegato, ammirato, affascinato, esaltato, commosso. Avevo deciso di iniziare questa recensione interrogandomi sul concetto di capolavoro, partendo da speculazioni intellettuali, ma sarebbe un percorso impervio, soprattutto perchè, singolarmente, questa pellicola sta subendo i mal di pancia di alcuni fans di Clint che si dicono in qualche modo "delusi". Non ne sono stupito. Sono anni oramai che sia Eastwood che Allen vengono ad ogni nuova uscita puntualmente sottoposti al processo di chi ad ogni costo li vuole accusare di aver prodotto la fatidica "opera minore". Concetto che mi vede scettico e perfino divertito. Attenzione: io non sono perplesso di fronte a questi "detrattori di professione" perchè ritenga i due registi "intoccabili", ma perchè trovo esercizio inutile e anche un pò sciocco questo "fare le pulci" a due uomini che hanno dato al Cinema un contributo epocale e -soprattutto!- trattandosi di due Maestri che hanno sempre messo al primo posto la loro libertà intellettuale ed artistica. E che, per contro, hanno collocato all'ultimo posto la conquista del consenso verso un pubblico massificato televisivo e di bocca buona. In altre parole, due cineasti che hanno SEMPRE fatto il cinema che avevano in testa, anche se questo è costato loro parecchio a vari livelli: non hanno mai fatto incetta di premi e quando si son visti rifiutare finanziamenti hanno scelto di emigrare altrove pur di non piegarsi alle esigenze del mercato, mantenendo intatta la loro integrità artistica, perseguendo l'idea di un cinema "alto" ma non di nicchia, un cinema popolare ma totalmente esente da "scorciatoie" o ammiccamenti. Non è che la mia passione mi impedisca l'analisi razionale, sarei uno sprovveduto se pretendessi di dimostrare che "Invictus" mi ha procurato le stesse emozioni di "Letters from Iwo Jima" o di "Gran Torino". Tuttavia io sono anche convinto che di fronte ad un Maestro assoluto occorre prima di tutto il Rispetto. Prendiamo questo "Hereafter". Si tratta di un'opera fortemente personale. Ancora una volta Eastwood ha realizzato un'opera in cui la mano ferma dell'autore e un impianto narrativo dolente molto accentuato sfidano il Mercato, fregandosene (felicemente!) se si invadono le multisale con un film sostanzialmente TRISTE e malinconico. E la dimostrazione che "tristezza e malinconia" possono sposarsi coi grandi numeri la riscontriamo nei buonissimi incassi al nostro botteghino. E a questo proposito va rimarcato come il film, coerente nel suo obbiettivo di toccare corde intime e profonde dello spettatore, eviti di utilizzare comodi espedienti ricattatori. Sì, è un film molto duro, coraggioso, nel suo non preoccuparsi di accompagnare il pubblico in un viaggio nel dolore e nell'analisi del lutto. E non sono temi, questi, che abitualmente riempiano le sale e garantiscano vasto consumo popolare. La morte e l'elaborazione del lutto coinvolgono i nostri sentimenti più intimi e il tema del nostro rapporto con la morte è probabilmente il numero uno dei tabù. Eastwood ha saputo affrontarlo con umiltà, a mani nude, senza paura di sporcarsi, senza timore di sfiorare la banalità ma rifuggendola con successo. I tre protagonisti non sono certo dei vincenti, anzi sono tre esseri umani in profonda crisi, tre persone a cui eventi luttuosi hanno indotto un mix di sofferenza e di straordinaria sensibilità. Si tratta di tre personaggi delineati in sede di sceneggiatura con tanta umana pietà, e con tanta evidente vulnerabilità. Io amo questo tipo di persone anche nella vita, coloro che, accantonando qualunque atteggiamento aggressivo, non sono imbarazzati nel mostrare la loro fragilità, anche se ne incontriamo sempre di meno, in quanto l'individualismo imperante costringe i più a stare sempre "sulla difensiva". Abbiamo paura di apparire deboli, questo è il punto. Eppure siamo fragili e soli. Soli di fronte ai dubbi sulla morte e soli di fronte all'insormontabile elaborazione di un lutto. Di questo ci parla Clint Eastwood nel suo immenso film. E lo fa attraverso le vicende di tre persone piegate dal dolore e il cui cammino dolente è dedicato alla ricerca di una luce che illumini il loro rapporto incompiuto con l'aldilà. Particolare attenzione merita il personaggio del sensitivo interpretato da un Matt Damon al massimo del suo talento. Trovo che Eastwood abbia toccato l'argomento con straordinaria sensibilità e assoluta delicatezza. Damon non viene mai rappresentato come fenomeno da baraccone e questo è evidente. Lo sguardo di Clint è eminentemente LAICO. Vengono istillati dei dubbi sui contatti con una vita ultraterrena ma sono solo degli spunti, tuttaltro che un manifesto ideologico-religioso. Eastwood è dotato di un UMANESIMO LAICO talmente solido che non è così sciocco da far balenare suggestioni miracolistiche. E' un concetto che vorrei ribadire, affinchè chi ancora non ha visto il film non si faccia fuorviare da certe trame troppo sintetiche: questo film non ha in nessun caso una visione NEW AGE, ma al contrario ha con l'aldilà un approccio assolutamente LAICO, e non potrebbe essere altrimenti visto che Eastwood non è un cialtrone e non si esporrebbe mai a derive misticheggianti. Peter Morgan, già apprezzato sceneggiatore, qui ha lavorato davvero di fino, costruendo tre personalità affascinanti, e il frutto del suo lavoro è ancor più rimarcabile in un momento di desolante crisi di idee in cui a Hollywood si sta raschiando il fondo del barile; al contrario, Morgan ha raccontato tre storie talmente belle che avrebbero potuto fornire materiale per altrettanti film. Assistiamo allo svelarsi di tre vite, appartenenti a persone di diversa estrazione sociale e culturale. Ma tutte e tre accomunate da un identico destino, quello di chi ha un appuntamento, un rendez-vous a cui non vuole e non può sottrarsi. La resa dei conti con il confine estremo tra la Vita e la Morte. Ciascuno di essi ha con il lutto un rapporto irrisolto che ne condiziona pesantemente l'esistenza. Ognuno di loro tre cerca un contatto con l'aldilà per risolvere un'ossessione che in ciascuno dei singoli casi ha aspetti diversi. Una brillante giornalista vede in faccia la morte sfuggendole per un pelo e in quei pochi secondi in cui il suo cuore cessa di battere lei percepisce "qualcosa" di soprannaturale: quest'esperienza cambierà per sempre la sua vita. Un bambino figlio di madre tossicomane viene affidato ai servizi sociali dopo la morte del gemellino in un incidente stradale. Il suo attaccamento al fratellino era immenso e ora, straziato dal dolore, vive nell'ossessione di cercare un contatto soprannaturale con lui, anche a rischio di farsi turlupinare da una moltitudine di ciarlatani e finti veggenti. E infine il personaggio più intenso e dolente, un sensitivo cui questo "dono" ha devastato la vita, tanto che per sfuggire all'invadenza di chi lo vorrebbe sfruttare abbandona tutto e va a lavorare in fabbrica. Una delle cose più belle uscite dalla mente di Morgan è l'intelligenza con cui, nella fase finale del film, i percorsi umani dei tre protagonisti vengono fatti confluire in un unico snodo conclusivo. Ciò accade in modo graduale ma al contempo incalzante, coi tempi giusti per appassionare lo spettatore. Esistono poi dei momenti nel film che difficilmente si potranno dimenticare. Senza tema di essere smentito metterei al primo posto la sequenza iniziale dello tsunami, che fa restare a bocca aperta tutto il pubblico, nessuno escluso. Personalmente, l'immagine che più mi è rimasta impressa è invece la meno spettacolare di tutte: George il sensitivo che cena da solo, seduto alla modesta tavola di una piccola cucina. E' un'immagine mesta, dimessa, che evidenzia tutta la solitudine di questo singolare personaggio di uomo irrisolto e in fuga da sè stesso. A proposito del quale c'è poi da segnalare un curioso dettaglio (sempre dovuto all'estro dello sceneggiatore Morgan): George vive nel culto dello scrittore Charles Dickens, della cui vita e produzione sa tutto! E dopo avere detto tutto il bene possibile, voglio aggiungere una ulteriore lode: per fortuna non è uno di quei film dove ad ogni cambio di scena debba corrispondere per forza un'azione; no, il film ha tempi finalmente dilatati quanto basta, tempi umani insomma. Il cast è davvero formidabile e tutti mettono il loro talento a disposizione del Maestro. Matt Damon, che suppongo quasi tutti riteniamo qualche volta un pò legnoso, qui riveste il ruolo più riuscito della sua carriera. Cecile De France, oltre ad essere bravissima, possiede tutto lo charme e la femminilità di cui solo certe donne francesi sembrano conoscere il segreto. Straordinari poi nella loro trattenuta dignità i due gemellini, che meritano una citazione particolarmente affettuosa. Breve, infine, ma molto significativo, il cameo di Brice Dallas Howard. Voglio chiudere con una frase che ho colto in una recensione, non ricordo più se in rete o sulla stampa: "Questo è un film sulla morte dal quale si esce pieni di vita". Concordo in pieno.
Voto: 10
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