Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
L’entusiasmo con cui, soprattutto in Italia, è stato accolto l’ultimo film di Clint Eastwood, a mio parere, è un tantino sproporzionato. Divenuto il pupillo di gran parte della critica nostrana, sembra ormai che ogni cosa che tocchi si tramuti magicamente in oro, anche un normale film alla Shyamalan (il paragone non vuole essere riduttivo per il bravo autore di origine indiana). Forse il mio troppo amore per Clint mi spinge ad essere più severo nei suoi confronti, a pretendere sempre qualcosa di più rispetto alla media. “Hereafter” è semplicemente un buon film di intrattenimento (non certo un male, anzi!) ma caricarlo di eccessivi significati esistenziali, quasi filosofici, è fuori luogo (e credo che, sotto questo profilo, si è fatto più di quanto Clint avrebbe desiderato). Eastwood ha coraggio nell’affrontare con umiltà e misura un tema ed un genere per lui insoliti e oggi quasi fuori moda (non a caso il film negli States è andato malino), dirige con la consueta ammirevole sobrietà e discrezione, mantenendo un delicato e non facile equilibrio narrativo, nonostante la “scivolosità” dell’argomento, scherza divertito ed ironico sui tanti sensitivi cialtroni che annebbiano la mente ed illudono le persone, gioca quasi a fare il Ken Loach della situazione (madre eroinomane, assistenti sociali, bimbi affidati ad altre famiglie) nello spezzone inglese, realizza una stupefacente sequenza catastrofica (lo tsunami iniziale mette letteralmente i brividi), si conferma magistrale direttore d’attori (ottimo Matt Damon, intensa Cécile De France, struggenti i due gemelli McLaren), omaggia con intelligenza e classe Charles Dickens, evita grossolana retorica e patetiche scene madri, regala un finale commovente e “giusto” pur nel suo fiabesco ottimismo, semina qualche dubbio ma non dà certezze né risposte, anche perché probabilmente non ne ha. Tutti pregi innegabili ma anche da tempo, per lo più, tratti distintivi del suo imprescindibile cinema, dunque non una novità. Purtroppo il suo film, specie nella prima parte, emotivamente è poco coinvolgente, procede fin troppo lineare e diligente in attesa che le tre distinte vicende trovino il loro naturale punto di incontro, alla ricerca, forse un po’ ruffiana, della facile e più immediata complicità del pubblico (penso all’incontro di George con il piccolo Marcus). Inoltre la sceneggiatura di Peter Morgan (vero punto debole del film) è approssimativa e banale, soprattutto nei caratteri di contorno (il fratello di George che cerca in ogni modo di sfruttare il suo dono, il personaggio di Melanie, piazzato un po’ a caso ed utilizzato in modo scolastico e ridondante per mettere in risalto e ribadire le difficoltà relazionali del protagonista, l’opportunista compagno di Marie, forse il personaggio più prevedibile e insignificante, gli scialbi assistenti sociali di Marcus) e in alcuni passaggi a dir poco superflui (tutta la parte relativa alle lezioni di cucina, utile per alleggerire la tensione, in realtà allunga il brodo senza motivo ed è a forte rischio macchietta con il personaggio del cuoco italiano). Le riflessioni sull’elaborazione del lutto e su quello che ci aspetta dopo la morte, infine, mi paiono abbastanza elementari e superficiali, dettate più da un approccio legittimamente curioso ed interrogativo (ma questo, a ben guardare - non mi si prenda per blasfemo - c’era anche in “Linea mortale” di Joel Schumacher, spettacolone funzionale ed effettistico) che da un vero e profondo interesse ad approfondire con maggior attenzione il tema. Forse Clint ha più che altro voluto accostarsi ad un argomento che sente vicino, ma, quasi intimidito, (parola che può far sorridere, considerato il personaggio) ha poi preferito mantenersi distante, come un osservatore neutrale ma anche un po’ freddo. O più semplicemente la materia è troppo complessa ed articolata: lo sforzo di Clint è apprezzabile ed interessante, ma al pari di Peter Weir e del suo “Fearless – Senza paura” non pienamente risolto e soddisfacente. Ci sono Eastwood reputati minori (“Debito di sangue” “Mezzanotte nel giardino del bene e del male”) che per me sono straordinari. In tutta onestà e a malincuore mi risulta davvero difficile considerare questo “Hereafter” un grande film.
Voto: 6 e mezzo
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