Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Sergio Castellitto, in consueto tandem con la moglie Margaret Mazzantini, dice di aver realizzato una commedia alla francese. Involontariamente si dà la zappa sui piedi, perché non c’è niente di più snob dello stereotipo della commedia francese. La lezione di Jacques Rivette, tuttavia, gli è servita. In ogni caso, più che alla Francia, La bellezza del somaro – titolo italiano che ha una sua ragione d’essere nella traduzione nostrana del francese La beauté de l’ane, errore di trascrizione de La beauté de l’age – è soprattutto il figlio più legittimo della commedia all’italiana. Le spie che lo lasciano capire sono parecchie. Castellitto sostiene di aver costruito una satira corrosiva della sinistra italiana. Ed è vero, ma paradossalmente criticare i radical chic di sinistra da salotto è a sua volta una cosa maledettamente radical chic.
La prima scommessa vinta dall’autore è proprio quella di evitare il rischio del film ombelicare: la storia è universale, non tratta la sinistra da un punto di vista di sinistra, ma la rappresenta con una elegante cognizione di causa che mischia la grande tradizione comica alla presa in giro di soggetti determinati con estrema cognizione di causa. Tutti i personaggi sono caratteri da commedia all’italiana, in primo luogo le superbe macchiette di lusso impersonati dai comprimari (splendido cast): cosa sono se non puro rinnovamento nella tradizione i personaggi di Gianfelice Imparato (spassoso e patetico wallstrettomane con perenne auricolare con cui spera di imparare l’inglese: il tormentone sta nelle traduzioni simultanee e nell’assunzione di certe pillole, che hanno come effetto collaterale l’annullamento dell’attività sessuale), di Marco Giallini (strepitoso nel volgare medico affetto da pompino-mania), di Barbora Bobulova (rigogliosa con una matta che beve alcool dal biberon e si ubriaca di psicanalisi), di Lidia Vitale (giornalista di sinistra pacifista e fottutamente acida), di Erika Blanc (serena e divertita anziana con cagnolino perenne tra le braccia) e così via?
La bellezza del somaro è un film profondamente italiano sul problema tipicamente italiano dello scontro generazionale, espresso in maniera sferzante attraverso l’inadeguatezza ipocrita ed infantile dei quasi cinquantenni (che di sinistra lo sono solo in virtù del passato e non hanno più un nemmeno labile legame con la realtà) che hanno praticamente distrutto questo Paese e il candore arrogante e giustificato dei loro figli (cioè la mia generazione), abituati ad avere tutto e subito e malamente inebetiti dalla questione dei genitori amici. Per di più, i genitori del film sono sì certamente sopra le righe, ma anche irrimediabilmente emblematici: lui (lo stesso Castellitto, istrionico quanto basta) è un architetto che pensa più all’estetica che all’etica, nonostante blateri il contrario (lo stesso inscenare ogni volta il quadretto degli amici che ci si porta appresso dai tempi del liceo è pura retorica di sinistra) ed abbia un’amante mozzafiato; lei (una Laura Morante più luminosa ed ironica del solito) fa la psicanalista, vive nel mito del padre lacaniano (ma gran puttaniere e cocainomane, come ricorda la madre Erika Blanc) e ha più di un problema irrisolto e represso. Sono due genitori senza criterio, contornati tra l’altro da propri simili squilibrati ed nevrotici (almeno ogni personaggio ha una scenata isterica: menzione speciale per la preside magnona della bravissima Emanuela Grimalda contro la seccante Vitale), che ovviamente si ritrovano spiazzati all’arrivo del nuovo fidanzato della figlia (che si chiama Rosa, come la Luxemburg), il settantenne Enzo Jannacci, che si porta dietro tre o quattro vite ed un mondo tutto suo e tutti, per un equivoco geniale, chiamano Presidente (“Ma Presidente de che?” chiede Imparato a Giallini, che gli risponde estasiato “Presidente de tutto!”).
L’idea di un equilibrio, già mancante, si smarrisce completamente, e via con un rapido precipitarsi in un clamoroso psicodramma collettivo, tra partite a ruba bandiera che valgono una guerra e tentativi patetici di avvicinarsi a mondi lontanissimi (papà Castellitto si fa le canne con i giovani; mamma Morante tenta la seduzione del vecchio). Tra citazioni colte (i libri Adelphi, Harold e Maude, Il settimo sigillo visto in continuazione dallo psicopatico Renato Marchetti) e cultura pop tanto cara sempre alla sinistra (il karaoke, la porchetta, i bonghi, il mito della moto), si ride molto, a volte in modo anche straripante (visivamente sono perfette le sequenze della Grimalda che cade di culo sulla torta al compleanno di Castellitto e Marchetti che getta il computer della Vitale nella piscina), pur restando consapevoli dello sottofondo tremendamente snob, La bellezza del somaro si rivela un film talmente bizzarro, strano, surreale e grottesco da non poter essere liquidato come una grande commedia borghese irrisolta, frenetica (ma quant’è brava Francesca Calvelli?) e finanche incoerente. È un oggetto pericoloso, un azzardo, ma soprattutto, che piaccia o no, un film maledettamente nuovo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta