Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Nella casa di una coppia di 50enni romani ultrabenestanti, immersa nella campagna toscana, dove solitamente i due si riuniscono con i loro amici, tra lepidezze e ipocrisie nascoste si presenta la figlia minorenne della coppia (Torresi) con il nuovo fidanzato, un settantenne (Jannacci). I genitori, all'apparenza aperti e comprensivi, vanno in crisi e congiuntamente alle loro tensioni sopite vengono scoperchiate tutte quelle dei loro amici.
Tratto dall'omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, il film è un saggio deprimente di come - partendo da uno spunto lillipuziano - si possa fare un film di rara inconsistenza. Quello di Castellitto è un cinema fatto in casa e a casa (lui dirige, interpreta, produce e mette le mura a disposizione, la moglie scrive il copione, il figlio interpreta) al quale manca praticamente tutto: dalla capacità di dirigere gli attori (quella tra Laura Morante, che - imbalsamata come al solito - ha un talento inversamente proporzionale alla sua avvenenza, Barbora Bobulova e Lidia Vitale è una gara tra imbranate) a quella di maneggiare la macchina da presa, oggetto di movimenti nevrotici, allo script, sciatto e confuso, fino alla capacità di raccontare i personaggi, che qui non vanno mai oltre il limite della macchietta e al montaggio che, a voler usare un eufemismo, si può definire acrobatico. Perennemente urlato e sopra le righe, La bellezza del somaro dispensa cachinni e decibel a profusione, pretendendo si far ridere con una comicità d'antan in stile splapstick, a suon di scivoloni e torte in faccia, che quasi non si vede più neppure nelle interpretazioni di Massimo Boldi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta