Regia di Michele Placido vedi scheda film
Nella Milano che non “rampa” ancora - quella di fine anni ’60 e del decennio successivo - ne sono accaduti di fatti negativi; spregevoli e odiosi. Quasi tutti, però, ignorati dal penultimo film di M.Placido, il quale non ha occhi che per lui: Renato Vallanzasca. L’immagine che degli ambienti e del contesto sociale - principalmente (per l’appunto) la Milano plumbea ed agitata di quegli anni assai pesanti - è, infatti, assai opaca ed indistinta, mentre è assai più nitida quella di unico soggetto (ma solo lui, atteso che finanche della sua banda di sgherri si viene a sapere poco, e male).
Come dargli torto, d’altronde. Il “materiale” c’era, eccome! Un delinquente “comune” (ovvero non politicizzato), tutto lombardo ma che ebbe l’ardire di tenere testa alla mala del sud e che riuscì a guadagnarsi una vera e propria reputazione (nell’ambiente criminale e non solo). Un delinquente fuori dagli schemi; strafottente, attaccabrighe e narcisista, eppure indubbiamente dotato di un certo qual appeal (benché sinistro), di carisma e pure di una coerente adesione ad un personale codice morale. Il soggetto perfetto, insomma, per un crime movie all’italiana!
Un film - devo dire - di tutto rispetto.
Carcere duro e duri ricordi, mixati con coraggio e frenesia, rendono bene, già dai primi minuti, l’idea di cinema che ha avuto in mente l’illustre regista pugliese. Poi, nondimeno, questi - nella foga di raccontare l’uomo (anche) tramite crimini e misfatti (del medesimo) - si perde un poco e trascura un po’ il resto. Ma, quantomeno, Placido non perde mai di vista l’obiettivo.
Placido - va detto - non mette sotto torchio Vallanzasca. Non ne denuncia le malefatte, nè lo inchioda alle sue responsabilità. Ma - va detto con altrettanta chiarezza - non si permette neanche di celebrarlo o di mitizzare le sue “imprese”. Placido si prende semplicemente la libertà di realizzare un noir-poliziesco votato all’analisi (più che al culto) della personalità di uno che di personalità ne aveva da vendere. Una personalità che affiora distintamente dal racconto di tanti piccoli fatti. I fatti e gli eventi di cui è lastricata la vita criminale di un uomo, del quale Placido ha “osato” adottare il punto di vista; gli occhi ed i sensi che, sullo schermo, sono “prestati” da un grande K.Rossi Stuart. Il film si regge, infatti, tutto sulle sue (solide) spalle.
Dunque, un plauso a Placido per il coraggio della scelta del soggetto e per la direzione, ma anche una tirata d’orecchie perché, con una scrittura più ragionata e di più ampio respiro, avrebbe realizzato davvero un gran bel film.
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