Regia di Michele Placido vedi scheda film
Epopea criminale di Renato Vallanzasca, delinquente milanese che sparse il terrore negli Italia degli anni ’70.
Istrionico, raffinato, giusto: il Vallanzasca tratteggiato da Michele Placido è un eroe metropolitano, a metà strada tra Robin Hood, Arsenio Lupin e Paperino. Come l’arciere di Sherwood tenta una giustizia sommaria ed aiuta i reietti, rimanendo dall’altra parte della barricata rispetto alla legge; alla stessa stregua dell’eroe gentiluomo è elegante, scaltro, signorile; come il papero Disney infine è perseguitato dalla sfortuna, tanto che pare delinqua quasi per caso (a causa di compari goffi, errori di valutazione, casualità).
Kim Rossi-Stuart, pur bravo nell’interpretazione, è comunque irritante con quella parlata biascicata e forzatamente meneghina. Il resto degli attori è all’altezza, con Filippo Timi a spiccare sugli altri per bravura e Valeria Solarino e Paz Vega per avvenenza.
La regia di Placido non è male fino a quando non comincia a girare miniclip che incrementano la venerazione verso il bandito, col taglio della sceneggiatura però che resta deprecabile ed irritante, tanto da giustificare appieno le polemiche di chi ha visto nella sua opera una sorta di mitizzazione di un personaggio senza dubbio disonorevole per la storia italiana.
Quello percepito dall’autore pugliese è un bandito che pare armato di sola autostima e tracotanza. Per Placido (anche sceneggiatore con Antonio Leotti e lo stesso Rossi Stuart) il processo è una farsa, la scorciatoia dell’infermità mentale viene scartata per orgoglio di Vallanzasca, il regolamento di conti con l’ex amico Enzo è un pieno d’onore, le evasioni tutte perpetrate senza spargimento di sangue, l’arresto finale voluto da Vallanzasca ché altrimenti avrebbe dovuto sparare ad un carabiniere ventenne!
Peccato non averlo visto in anteprima, altrimenti avremmo potuto suggerire a Placido titoli alternativi come “La più grande storia mai raccontata 2” o “René di Nazareth”.
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