Regia di Michele Placido vedi scheda film
Michele Placido regista continua a rimestare nel torbido passato della criminalità italiana degli anni ‘70 rinverdendo quella tradizione cinematografica poliziottesca che proprio in quegli anni e fino al decennio successivo esprimeva la sua massima vitalità con decine di titoli, alcuni dei quali anche molto buoni.
Andrea Bianchi ad esempio girò con splendido tempismo il dimenticabile “La banda Vallanzasca” (1977) che con il bel Renè non c’entrava proprio nulla. Senza discostarsi dall’estetica del poliziesco in voga in quel periodo sfruttò solo la cassa di risonanza dei media nei confronti del nemico pubblico di quegli anni.
L’operazione che Placido mette in atto sia con Vallanzasca – gli angeli del male che con il precedente Romanzo criminale, è diversa sia dal punto di vista tematico, visto che si tratta di biografie, che formale. Vallanzasca è tratto da l’autobiografia del bandito e sconta un po’ di autocompiacimento del protagonista che per sua natura, come mostrato anche dal film, tende a fare il simpatico guascone sconfinando nell’egocentrismo e nella mania di protagonismo. Questa caratteristica è però il perno che ha consentito ad un piccolo criminale di strada di farsi largo nella mala milanese e arrivare fino a noi, vivo. E non è cosa da poco. Renato Vallanzasca era un leader naturale dotato di grande carisma che sapeva sfruttare al massimo l’ ottimo aspetto fisico per mascherare la sua natura criminale. L’inganno dell’immagine è in grande anticipo sui tempi e Placido calca su questo, sull’immagine del bandito e sulla percezione degli altri nei suoi confronti. Non a caso Kim Rossi Stuart molto bello e molto bravo, fattosi le ossa nella parte del Freddo di Romanzo Criminale, sciorina un accento brianzolo da paura e scava negli animi delle sue vittime con sorriso e occhi blu.
La violenza ha sempre esercitato un grande fascino sulle masse, Renato Vallanzasca è il feticcio di quel fascino corrotto dalla violenza degli anni 70. “La voglia di trasgressione della casalinga italiana” che fa spedire a centinaia di donne lettere hot e foto hard al bandito carcerato è la stessa voglia di trasgressione alle regole che ha portato una banda di ragazzini di strada a crescere come malviventi. Non c’è da stupirsi, la stessa cosa capita quotidianamente anche oggi a efferati ragazzini patricidi.
Non c’è però alcuna assoluzione alle gesta del criminale, Placido ne ripercorre le vicende salienti senza giudizio e senza esaltazione, tratteggia con maggiore cura la ricostruzione storica abbandonando i primi piani strettissimi di Romanzo Criminale che per esigenze di budget dovevano veicolare un periodo di 40 anni fa solo con pettinature, nodi grandi quanto un pugno a cravatte psichedeliche, e colletti di camicie puntuti e taglienti per allargare lo sguardo su decor d’interni, automobili e ambientazione esterna.
Vallanzasca – gli angeli del male racconta il percorso di un personaggio borderline che per scelta divenne ladro, per necessità assassino e che conquistò le masse sfruttando abilmente l’attenzione mediatica che gli veniva riservata. “Sono nato per fare il ladro” dice più volte e torna in mente un altro “eroe” negativo che in Francia ebbe la sua stessa risonanza: Jaques Mesrine di un ottimo Vincent Cassel nel bellissmo film di Jean Francoise Richet Nemico pubblico N.1 (2008). Il periodo era lo stesso come era lo stesso quella del La banda Baader Meinhof (2008) in Germania. Si aggiunga la banda della Magliana già oggetto di attenzione da parte di Placido e allora si intuisce come il film su Vallanzasca vada ad inserirsi in un quadro politico e sociale molto più ampio di quello che la struttura del film, indirizzata al genere puro, intende mostrare.
Nel cinema il personaggio viene caratterizzato dalle azioni che compie sullo schermo, la tentazione della voce over si stempera subito e il protagonista si declina da sé. Detto questo confondere la natura intrinseca del personaggio con l’intenzione del film è peccato mortale nonché clamoroso errore di valutazione. Renato Vallanzasca è ironico, disilluso, simpatico quanto sottilmente perverso, glaciale e determinato all’azione criminale. Leale. Appetibile come uomo, come malvivente, come personaggio da sbattere sui TG. Strano come gli aggettivi positivi acquistino una valenza totalmente opposta alla loro naturale connotazione. Il lato oscuro del personaggio ne esce rafforzato e si delinea sempre più eliminando man mano ogni ambiguità. Interessante come Placido decida di forzare la mano della finzione realizzando falsi filmati d’epoca presentando Kim Rossi Stuart nelle interviste alla televisione, o sulle prime pagine dei giornali come se fosse il vero bandito. Nessuna concessione alla vera immagine di Renato Vallanzasca. Il patto, chiaro e tenuto con grande attenzione per tutto il film è quello di un film poliziesco con tutti i crismi del genere, aderente alla realtà dei fatti ma lontano dalla loro elevazione a simbolo o tema o denuncia.
Vallanzasca è una cavalcata a episodi nella vita del bandito milanese che mette in scena i fatti con grande cura per l’estetica e la forma, pescando molto nel nostro background cinematografico ma senza aver paura di richiamarsi all’epica del criminale comunemente mutuata dai bravi ragazzi scorsesiani, dai Tony Montana de palmiani o dagli iperrealisti malviventi tarantiniani. Ne esce così un film molto bello, astratto, ben fotografato e recitato benissimo da tutti gli attori, Kim Rossi Stuart e Filippo Timi su tutti.
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