Regia di Michele Placido vedi scheda film
Da buon appassionato di noir, poliziotteschi e vicende criminali degli anni '70 italiani, ho atteso con curiosità e impazienza questa biografia di celluloide di uno dei personaggi più interessanti, controversi e, in qualche modo, caratterizzanti di un decennio difficile e violento. Michele Placido, con la buona trasposizione cinematografica del "Romanzo Criminale" di Giancarlo De Cataldo, aveva dato prova di maneggiare la materia con una certa abilità e, di conseguenza, c'erano tutti i presupposti per un ulteriore salto di qualità. Purtroppo questo "Vallanzasca" tradisce in parte le attese, nonostante la pellicola sia un prodotto assolutamente più che dignitoso: il film, infatti, è un'opera sostanzialmente irrisolta, sicuramente riuscita da un punto di vista estetico e formale, francamente più problematica da un punto di vista più strettamente contenutistico. La pellicola di Placido è indubbiamente un film ben girato, con bellissime immagini, inquadrature movimentate (e a sprazzi molto "americane", se capite cosa intendo), con belle ricostruzioni d'epoca (anche se qui e là affiora qualche incongruenza: francamente non sono sicuro che nel 1977 la polizia utilizzasse già la Giulietta Alfa Romeo che s'intravede in alcune scene), bei costumi ed una estetica "sporca" e (fintamente) povera (in realtà fin troppo patinata e trendy) che comunque ben si adatta ai temi narrati. Se la forma è impeccabile, il contenuto spesso lascia perplessi: la sceneggiatura è piena di voragini, il film sembra diretto ad un pubblico già a conoscenza delle vicende narrate, perché non si preoccupa mai di spiegare i tanti passaggi oscuri della storia o di chiarire la genesi della carriera criminale di Vallanzasca (l'infanzia e l'adolescenza del bandito vengono sorvolate in due inquadrature), di far capire, insomma, il contesto nel quale le avventure della "batteria" criminale si dipanano (segnando in questo modo una netta discontinuità con l'approccio didascalico e a tratti persino didattico con il quale Placido forzava il "plot" narrativo del romanzo di De Cataldo). Il cast è abbondante ma, a parte il protagonista, i personaggi si sovrappongono in maniera confusa senza mai godere di un qualsiasi approfondimento psicologico e, nella stragrande maggioranza dei casi, restano delle figurine appena abbozzate, peraltro completamente eclissate dall'ennesima eccezionale prova di Kim Rossi Stuart, bravo e convincente, a dimostrare, ancora una volta di essere forse il miglior attore italiano in circolazione. Non del tutto convincente anche la colonna sonora dei Negramaro (nonostante le proteste della mia compagna!): probabilmente avrebbe giovato maggiormente alla ricostruzione d'ambiente qualche brano "d'epoca". Abbastanza immotivate, comunque, le tante polemiche che, inevitabilmente, hanno accompagnato l'uscita del film con le prevedibili accuse a Michele Placido (ovviamente prima ancora di aver visto la pellicola) di aver realizzato l'agiografia di un criminale. Fatto salvo il rispetto per i parenti delle vittime delle azioni criminali del bandito, bisogna ammettere che, in realtà, il regista pugliese riesce a mantenere una buona equidistanza, dipingendo l'innegabile seduzione del male di un Renato Vallanzasca guascone ed affascinante (come del resto per trent'anni è stato dipinto dagli organi d'informazione che se ne sono occupati: in fondo il nomignolo "il bel Renè" non l'ha certo inventato Placido, che nemmeno ha scritto le tante lettere d'amore che realmente il bandito ha ricevuto da sconosciute ammiratrici durante la sua detenzione), ma dando conto anche degli aspetti più scomodi e disturbanti della vita del criminale (anche per merito della caratterizzazione assai cruda di Rossi Stuart) e, in questo modo, non permettendo a nessuno (sano di mente) di identificarsi o parteggiare per le gesta del rapinatore milanese. Certo, il film è comunque tratto da un'autobiografia di Vallanzasca ("Il fiore del male", scritta in collaborazione con il giornalista Carlo Bonini: purtroppo non l'ho letta e sospendo il giudizio) e questo determina l'inevitabile conseguenza che a volte la narrazione tende ad essere un po' autoindulgente ed autoassolutoria su alcuni episodi controversi della vicenda ma francamente nulla che possa scandalizzare più di tanto o sbilanciare il giudizio in senso negativo. In definitiva "Vallanzasca - Gli angeli del male" è una pellicola interessante, ben girata e strepitosamente interpretata da un mostruoso Kim Rossi Stuart, che tenta di raccontare uno dei personaggi più suggestivi e controversi del crimine italiano degli anni '70 ma che, per quanto mi riguarda, riesce a strappare solo una sufficienza a causa di una sceneggiatura francamente troppo frammentaria e superficiale: tre stelle, in attesa che Placido, dopo due buoni tentativi non del tutto riusciti, si decida finalmente ad imbroccare il suo capolavoro.
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