Regia di Mario Martone vedi scheda film
Dall’aspirazione velleitaria di giovani meridionali antiborbonici ai circoli intellettuali di esuli e patrioti a Parigi e a Londra, dal terrorismo risorgimentale alla repressione sudista dei Savoia, dal romanticismo nobiliare alle plebi rivoltose, dalle esecuzioni in piazza ai salotti aristocratici, dalle sonate di Bellini alle imboscate sull’Aspromonte, dalle prigioni cavernose alle baie scintillanti, da Mazzini a Crispi, il Risorgimento destrutturato da Martone e De Cataldo somiglia a uno sceneggiato quanto la Divina Commedia a un romanzo di fantascienza. In versione ridotta rispetto ai 204 minuti presentati a Venezia 2010 e all’Auditorium di Roma qualche settimana dopo, è un affresco di cupo e impassibile nitore che ci fa ascoltare il passo della Storia attraverso il sussurro del complotto, l’inganno della politica, la perennità del dominio sociale. Un coro possente in un teatro antico e secolare dai velluti consunti, gli specchi opachi, le macchie d’umido sulle pareti, che intreccia voci e volti di Toni Servillo, Luca Zingaretti, Valerio Binasco e Luigi Lo Cascio, sopra tutti gli altri. A parte la sferzata dell’interpretazione storica (Gadda rimproverava Monicelli per La grande guerra, chissà cosa avrebbe detto di questo film), a parte la creatività dei set (era dai tempi dei migliori Taviani o del Germi del Brigante di Tacca del Lupo o del Rossellini dell’Amore che la campagna meridionale non ispirava un cinema così interessante e misterioso), a parte la personalità dell’occhio e la compostezza dei gesti e la fissità degli sguardi (tra il Rossellini della Presa del potere di Luigi XVI e De Oliveira), ciò che veramente colpisce è la densità e la continuità del sentimento in cui è in immersione tutto il film, quel senso di aspirazioni disattese, di destino avverso, di ideali andati a male, di violenta rassegnazione e rancore nichilista, di ingiustizia e indifferenza, di intrigo e disfatta, di rammarico e fallimento. Una sensazione così forte che la si sente ancora addosso dopo giorni e che somiglia tantissimo a qualcos’altro che ci è vicino, altrettanto irreparabile e familiare.
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