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Noi credevamo

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Noi credevamo

di Peppe Comune
8 stelle

“Noi credevamo” di Mario Martone (dal romanzo omonimo di Anna Banti) analizza le vicende storiche del Risorgimento italiano filtrandole con i tormenti ideali e personali di Domenico (prima Edoardo Natoli poi Luigi Lo Cascio), Angelo (prima Andrea Bosca poi Valerio Binasco) e Salvatore (Luigi Pisani), tre ragazzi che sposano senza indugi la causa dell' unità d'Italia, travolti dal fuoco sacro dell'ideale repubblicano da perseguire ad oltranza e traditi nelle loro più alte aspirazioni spirituali da un "realismo" politico che indirizza la storia sempre nell'alveo degli interessi dei più forti. Attraverso le vicende romanzate di questi tre uomini, Mario Martone imbastisce un film di grande respiro epico, che indaga la storia con gli occhi di chi si è visto scippare dalle mani la possibilità di giocarvi un ruolo più incisivo, lasciando fuori campo molti dei fatti e dei personaggi (Cavour e i monarchi su tutti) che hanno maggiormente caratterizzato le vicende del Risorgimento italiano e oscillando tra il pessimismo per un andamento dei fatti che sembra non lasciare dubbi sulla portata genetica di certo "macchiavellismo" politico e la speranza tutta riposta nella forza propulsiva di certe idee che conservano l'evidente capacità di vivere e sapersi imprimere nelle coscienze che va ben oltre il contingente che le ha viste soccombere. Il film si divide in quattro capitoli ben distinti, quattro momenti tra loro complementari con cui si tenta di fornire un quadro armonioso delle vicende storiche nel loro complesso divenire e fare di Domenico, Angelo e Salvatore, in quanto personaggi di finzione che interagiscono con persone realmente vissute nonchè spettatori attivi di quei fermenti politici e culturali che li hanno visti partecipi, il termometro che misura il grado di aspirazione etica andata perduta per far posto ai più accomodanti “magheggi” della politica del complotto. Si parte con l’adesione alla Giovine Italia (“Le scelte”), l’organizzazione politica voluta da un Giuseppe Mazzini (Toni Sevillo) presentato più come un asceta religioso ossessionato dal suo stesso rigore morale che come l’antesignano dell’azionismo politico. E’ qui che si delineano le personalità dei tre ragazzi, uniti da una profonda amicizia e dallo stesso ideale politico ma differenti per caratteri ed estrazione sociale : riflessivo e meditabondo Domenico, impulsivo e temerario Angelo, più semplice e realista Salvatore (l’unico dei tre di origini contadine). E’ ora che si tenta di finanziare l’azione insurrezionalista coinvolgendo aristocratici compiacenti come Cristina di Beljoioso (prima Francesca Inaudi e poi, in una piccolissima parte che sa di commiato finale, Anna Bonaiuto) e  dargli seguito attentando direttamente alla vita di Carlo Alberto. La morte tragica di Salvatore segnerà il percorso politico ed esistenziale degli altri due che per la prima volta e in maniera assai cruda conosceranno l’estrema difficoltà di far aderire la passione per un ideale con la complessa realtà che li circonda. Si continua con il carcere dove sono rinchiusi numerosi “nemici” della casa borbonica (“Domenico”) e dove la forzata convivenza tra diverse “anime” dell’ideale unitario  porta a discutere sull’opportunità contingente di appoggiare il progetto unitario dei Savoia e sulla necessità realmente “rivoluzionaria” di proseguire lungo la rotta antimonarchica tracciata dai repubblicani. Spiccano le figure di Carlo Poerio (Renato Carpentieri), che rifiutò un ministero da Cavour, e Sigismondo da Castromediano (Andrea Renzi), che pur di non piegarsi ai Borboni rifiutò il beneficio della grazia. Si prosegue con la deriva terrorista intrapresa da diversi esuli (“Angelo”) che, capeggiati da Felice Orsini (Guido Caprino), tentano un infruttuoso attentato a Napoleone Terzo. Sullo sfondo, a dare concretezza alla maturata erosione dell’deale repubblicano, oltre all’ormai disilluso Angelo, spiccano le figure di un ex repubblicano (quello che all’ultimo momento si rifiutò di attentare la vita di Carlo Alberto) passato alla causa reazionaria come Antonio Gallenga (Luca Barbareschi) e quella tristemente ambigua di Francesco Crispi (Luca Zingaretti). Si conclude con gli ultimi fuochi della speranza (“L’alba della nazione”), dove al tentativo di Domenico di ricongiungersi con i garibaldini segue, prima lo scontro “fraticida” con l’esercito piemontese sull’Aspromonte, poi la constatazione che l’Italia è si unita ma in un modo molto diverso da quello per cui ha combattuto un intera vita, che per i meridionali rivoluzione ha semplicemente significato la trasformazione di una medesima modalità di potere sotto altre vesti. Questo di Mario Martone è un grande film, necessario per come getta uno sguardo “non ufficiale” su alcune importanti vicende del Risorgimento italiano e coraggioso per come sottintende una presa di posizione che arriva a generare un intimo rapporto tra quelle illusioni andate disperse e lo stato di sostanziale arretratezza in cui versa ancora oggi il meridione d’Italia. Come dimostra, a mio avviso, quella costruzione in cemento armato chiaramente e volutamente anacronistica che un campo lungo mostra frapporsi alla vista di una baia incantevole, un gesto tecnico quello di Martone che oserei definire un chiaro atto politico per come sembra suggerirci che quel noi credevamo strozzato in gola ha qualificato irreversibilmente la ricerca strenua del compromesso come un elemento indefettibile del sistema politico italiano. Quel cemento messo lì in bella mostra diventa un simbolo tristemente emblematico, il Cavallo di Troia usato per devastare sia materialmente che moralmente un intero territorio : sfruttandone le risorse produttive e asservendone le immani capacità intellettuali. Tutto questo perchè si è sempre potuto speculare sulla ricattabilità di un popolo educato a concepire il metodo clientelare come la via più breve per ottenere il proprio posto al sole. Grande cinema civile.

 

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