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Noi credevamo

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Noi credevamo

di mm40
6 stelle

Affresco o polpettone? L'ago della bilancia pende più verso il primo dei due termini, facili etichette che lasciano il tempo che trovano, ma utili come tutte le etichette a riassumere in breve un discorso che altrimenti richiederebbe troppo tempo per essere completamente sviscerato. Martone questo tempo lo impiega invece tutto: e si lascia così andare a uno sconfinato romanzone in costume della durata di circa tre ore, omaggio al centocinquantenario dell'unità d'Italia, ma anche opera artistica vera e propria. Perchè il regista, fin dall'esordio di Morte di un matematico napoletano (1992), si è segnalato per un cinema tecnicamente elegante e di drammaturgie forti; messo di fronte a un quadro smisuratamente vasto e dai mille spunti narrativi come quello del risorgimento italiano, Martone non si lascia sfuggire l'occasione di comporre il ritratto non tanto di un movimento politico (la Giovine Italia, sostanzialmente al centro della storia), delle idee che prosperavano in un fervente contesto sociale come quello dell'Italia di metà Ottocento, o ancora dei personaggi che in tale contesto operavano; no, in questo Noi credevamo il protagonista effettivo è 'il risorgimento' in sè, insieme di volti, idee e azioni che ha definito un'epoca storica. Pertanto, quella di 'affresco' è la definizione più adatta alla sceneggiatura (dal romanzo omonimo di Anna Banti, 1967) firmata dal regista e da Giancarlo De Cataldo, di prima professione giudice, ma noto al grande pubblico come scrittore per il Romanzo criminale da cui Michele Placido ha tratto un film di grande successo nel 2005. La (pur lieve, come si è detto) propensione al polpettone, invece, deriva - oltre che dalla durata francamente eccessiva, soprattutto nella prima, lenta parte della pellicola - da una certa retorica nei dialoghi, cui ben si accostano la pomposità delle musiche di Hubert Westkemper e le sobrie, raffinate scene di Emita Frigato, ma anche dal continuo andirivieni in scena di personaggi, necessità votata alla realizzazione del suddetto 'quadro d'insieme', ma anche di non semplice approccio per lo spettatore. Per quanto riguarda gli interpreti, si segnala l'ennesima grande prova di un Lo Cascio in stato di grazia, affiancato ad altri buoni nomi (Valerio Binasco, Edoardo Natoli, Francesca Inaudi) e circondato comunque da apprezzabili comparse: sarebbe stato facile cedere al fascino del richiamo del personaggio di fama televisiva, ma di nessuna utilità sul set, nello stile delle fiction di questi anni. Tre guest stars da segnalare, tutte encomiabili nei loro pur brevi ruoli: Luca Zingaretti (un sanguigno Crispi), Luca Barbareschi (il cospiratore Gallenga, sono ben lontani i tempi di Bye bye baby e Via Montenapoleone) e Toni Servillo (Giuseppe Mazzini, in secondo piano, e giustamente, in una storia che parla più di azioni che di pensieri). La portata della produzione è di alto livello - per il cinema italiano, si intende - e Wikipedia parla di 4 milioni di euro: inutile dire a questo punto che si è trattato di un budget ben investito. 6,5/10.

Sulla trama

Le vite di tre giovani aderenti alla Giovine Italia mazziniana, Angelo, Domenico e Salvatore, si intersecano prendendo parte al risorgimento italiano.

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