Regia di Mario Martone vedi scheda film
Mario Martone nel 2010 realizzò uno dei suoi film più ambiziosi sia per tematica che per dimensioni produttive, "Noi credevamo", una sorta di cronaca risorgimentale "revisionista" scritta insieme al magistrato/scrittore De Cataldo, per arrivare a sostenere che l'unità d'Italia era meglio non farla nel modo in cui fu effettivamente raggiunta, per tutta una serie di ragioni che sposano le tesi meridionaliste di una storiografia che si rifà soprattutto a Salvemini. Il film ha avuto accoglienze critiche disparate, con una parte della critica che lo ha considerato un vero capolavoro- onore a mio parere eccessivo- e un'altra che lo ha piuttosto sminuito per un'estetica che ricorderebbe un po' troppo quella delle fiction televisive. A mio parere il film nel complesso ha meriti innegabili, riuscendo a tenere abilmente le fila di un racconto complesso per quasi tre ore, con alcune pagine di grande cinema (ad esempio lo spettacolo teatrale improvvisato da alcuni soldati garibaldini sulla spiaggia) e altre più opache, dove un approccio un po' troppo nozionistico degli sceneggiatori non rende proprio benissimo. Forse non serve fare un elenco dettagliato di pregi e difetti ma "Noi credevamo" rimane un affresco molto sentito e piuttosto disuguale, dove Martone continua a perseguire una poetica legata ai piccoli protagonisti della Grande Storia piuttosto che alle figure ufficiali che restano molto sullo sfondo, con il Mazzini di Toni Servillo che appare una figura crepuscolare, con tre/quattro scene in tutto, mentre ampio spazio viene conferito ai tre protagonisti Domenico, Angelo e Salvatore e alla nobildonna Cristina di Belgioioso. Con apporti tecnici di prim'ordine, che gli hanno consentito di vincere numerosi David di Donatello, fra cui appare necessario ricordare almeno la fotografia "viscontiana" del grande Renato Berta, il film omaggia ugualmente il Rossellini della fase televisiva e didattica e si pone chiaramente in polemica con la visione trionfalista e magniloquente di un certo cinema storico, arrivando a voluti anacronismi che però non me la sentirei di criticare in quanto necessari all'urgenza di un messaggio sul persistere dello sfruttamento delle fasce più deboli di fronte all'abuso del potere. Nel cast non vi sono interpretazioni paragonabili alla Bonaiuto de "L'amore molesto" (che qui fa un breve cameo come Belgioioso anziana), ma si apprezzano in particolare la dedizione e l'impegno di Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Andrea Bosca e Francesca Inaudi, con un Servillo stavolta forse fin troppo istrionico nella parte di Mazzini. Nel complesso il bilancio è certamente all'attivo, però devo riconoscere di essere partito con aspettative piuttosto elevate e di aver trovato alcuni aspetti piuttosto discutibili, sia nella resa espressiva che nei contenuti, che impediscono la piena ammirazione.
Voto 8/10
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