Regia di Ascanio Celestini vedi scheda film
Considerato un po' strambo dalla maestra, dal padre rozzo e dai fratelli infingardi, fin da ragazzino Nicola finisce in un'istituzione psichiatrica romana a far "compagnia" alla madre. Convinto di essere lì come inserviente, sarà l'amore verso la standista di un supermercato (Sansa) a fargli capire i suoi problemi reali.
Con una buona dose di coraggio Ascanio Celestini trasferisce sul grande schermo uno dei suoi spettacoli più noti, un'opera che riflette e fa riflettere sul significato della malattia mentale e su quella componente della sua genesi riconducibile all'istituzione stessa: è quest'ultima a creare il malato o è il malato ad aver bisogno dell'istituzione? Non è un caso che il film sottolinei che Nicola è un ragazzo degli anni '60, internato nel decennio successivo, in un'epoca che cioè ancora non aveva visto portati a maturazione gli sforzi di Franco Basaglia. Il problema del film, che l'attore-regista ha scritto con Ugo Chiti e Wilma Labate, è che - pur cercando di scostarsi tanto dal libro quanto dallo spettacolo omonimi - pigia eccessivamente sul registro affabulatorio, tratto distintivo dell'artista romano, qui enfatizzato con una insistente voce off. Muovendosi attraverso forme mediatiche diverse - dal teatro alla televisione, dalla radio alla narrazione orale fino alla forma canzone - Celestini ha sempre dato prova di una caratura fuori dalla norma, realizzando quasi sempre opere di qualità, compreso il precedente, bellissimo lungometraggio documentaristico sul lavoro precario, Parole sante. Stavolta l'esperimento - perché di questo si tratta - pur essendo encomiabile e toccando momenti di autentica poesia, incespica in un mezzo passo falso, mostrando un certo impaccio nel maneggiare la materia filmica nelle sue componenti strutturali, dal montaggio alla colonna sonora.
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