Regia di Piergiorgio Gay vedi scheda film
La morte di Guido Rossa, la strage di Bologna, l'arrivo degli albanesi sulle coste della Puglia, le stragi di mafia, le vittorie della nazionale ai mondiali del 1982 e del 2006, la morte di Eluana Englaro: passa per queste tappe, in rigoroso ordine sparso, lo sguardo sull'Italia dell'ultimo trentennio che il regista Piergiorgio Gay ha cucito ricorrendo come testimonial alla figura popolarissima del rocker Luciano Ligabue. Il film è un florilegio di testimonianze e commenti, i più disparati, sugli orrori di questo Paese allo sfascio: da Carlo Verdone, Paolo Rossi, Margherita Hack, Stefano Rodotà, Giovanni Soldini, Sabina Rossa, Luciana Castellina, Umberto Veronesi, Beppino Englaro ai volti sconosciuti dei ragazzi d'oggi. Dalle parole di alcuni di loro, così come da quelle dello stesso Ligabue, chiamato inopportunamente al ruolo di maître à penser, aleggia un'unica, forte convinzione: che per salvarci dalla catastrofe non ci rimane che fare appello alla salvaguardia della Costituzione. Messaggio forte e chiaro, se non fosse che l'antologia d'immagini di repertorio è trita e ritrita, che non vi sia il benché minimo tentativo di accusa alla classe dirigente che ci ha portato al disastro e che in fin dei conti le canzoni del "Liga" non sono che uno specchietto per le allodole. Il film è come loro: velleitario, scarno sempliciotto, buono per il pubblico di massa che di tanti temi vorrebbe saperne qualcosa di più, ma rimanendo rigorosamente in superficie.
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