Regia di Otto Preminger vedi scheda film
Preminger ci regala un legal thriller sano e genuino, immune dal vizio dei colpi di scena e della retorica ad effetto. La forza vincente è quella dell’aderenza alla verità, la dialettica processuale è un confronto tra angolazioni, la morale borghese e l’arte della persuasione rimangono fuori dalla porta. Il perbenismo è annientato a priori dalle circostanze stesse del fatto criminoso: uno stupro ai danni della moglie di un ufficiale dell’esercito, il quale, per reazione, commette un assassinio a sangue freddo. Ciononostante, il film evita abilmente la trappola del sensazionalismo, la tentazione di usare lo scandalo come pretesto di critica sociale, per concentrarsi unicamente sull’analisi dei fatti: non è un caso se il dibattimento in aula di sofferma tanto a lungo sulle testimonianze, tralasciando del tutto (che sollievo!) le arringhe finali di difesa e accusa. Il verdetto unanime della giuria è presentato come il germoglio che spunta dopo aver rivoltato il campo degli eventi, dopo aver solcato e livellato il tumulo delle apparenze e delle conclusioni erronee, imponendo la necessità della concordia sulla incontrollabile molteplicità delle visioni individuali.
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