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La mia droga si chiama Julie

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su La mia droga si chiama Julie

di Antisistema
8 stelle

Difficile scendere sotto le 4 stelle con Francois Truffaut, che per l'80% della sua carriera si è sempre concentrato sul tema dell'amore declinata in una personale chiave melodrammatica, dove i personaggi sono spinti all'eccesso senza troppi patetismi che appestano tali produzioni trasformandole in lagne logorroiche, poichè danno spazio superficialmente alla passione, senza renderla un personaggio come invece vi riesce il cineasta francese. 
La Sirene du Mississipi (1969) è una pellicola che segna la fine della prima metà della carriera di Truffaut, quella più all'insegna della sperimentazione e la contaminazione tra i generi, poichè successivamente andrà sempre più in una direzione univoca nel tono delle sue pellicole, dandosi sempre più al melodramma puro, con risultati anche notevoli, ma sempre più invischiato in una comforte zone standardizzata, senza cercare nuove vie espressivo-stilistiche, dalla quale mai più uscirà e quando tenterà di farlo con la pellicola finale Finalmente Domenica (1983), mostrerà tutta la stanchezza artistica che invece negli anni 60' era ben lungi dal vedersi. 
Una distanza siderale separa la Francia dove risiede Julie Roussel (Catherine Deneuve) da Louis Mahè (Jean Paul Belmondo), residente nell'isola di Riunione, situata nell'oceano Indiano occidentale, i due hanno da tempo una lunga corrispondenza e dopo un pò, decidono di sposarsi, così la bellissima donna giunge sull'isola e convola a nozze con Louis, ma l'uomo poco a poco tramite dei dettagli sospetta della moglie a causa di alcune incongruenze rispetto a ciò che ha scritto nelle lettere, nonchè per alcuni suoi atteggiamenti strani. 
Partito come una pellicola Hollywoodiana classica d'annata, il film diventa sempre più un melodramma che si mescola con elementi noir e polizieschi tipici del cinema di genere, per poi diventare un road movie vero e proprio, ma l'amalgama di tali elementi divergenti funziona fino ad un certo punto, per via degli sbandamenti dovuti alla forzatura nel dover tenere tutti questi elementi contrastanti insieme, portando a ad una gestione non sempre felice di alcuni passaggi narrativi riguardanti soprattutto il detective Cornolli (Michel Bouquet), incaricato da Louis di rintracciare la moglie Julie, la cui natura di truffatrice è venuta a galla a causa della sua improvvisa scomparsa rubando gran parte del patrimonio monetario del marito, ricco possidente di cambi di tabacco e di una fabbrica di sigarette. 

 

Jean-Paul Belmondo, Catherine Deneuve

La mia droga si chiama Julie (1969): Jean-Paul Belmondo, Catherine Deneuve


Julie (Catherine Deneuve bellissima ed illegale per quanto è bella, e vediamo pure le tette, quindi perchè non voleva mostrarle in Diabolik? Mah...) è per Louis una sirena di Ulissiana memoria, per la quale lascia il suo rifugio di "Itaca" per andare nella vastità del mondo, all'inseguimento di quel "canto" a cui è impossibile resistere; l'uomo vorrebbe vendicarsi della donna, ma una volta rintracciata e scoperto il suo triste passato, non riesce a premere quel grilletto divenuto improvvisamente durissimo, decidendo così di perdonarla e ricominciare con Julie la relazione improvvisamente troncatasi. 
Braccati dal detective e dalla polizia successivamente per via dell'oscuro passato della donna, Louis ama incondizionatamente Julie più di quanto oggettivamente ella meriti, visto che per la gran parte della pellicola ella si dimostra seducente, bellissima e affettuosa solo per i beni materiali di Louis e non per i sentimenti che quest'ultimo prova verso di lei, giungendo addirittura a compiere un omicidio. 
Parigi è la meta ambita dalla donna, Louis invece vi rifiuta di andarvi adducendo come scusa la possibilità di essere scoperti, ma in realtà sa benissimo che in tale metropoli perderebbe all'istante Julie, che sicuramente lo tradirebbe con qualcun altro più facoltoso di lui, perchè Louis dona tutto di sè stesso per riuscire a giungere al cuore della donna celato dietro una coltre di fredda furbizia, mentre Julie prende tutto senza voler donare nulla di sè. Il dinamismo di cui è intrisa la pellicola dopo i primi tre quanti d'ora iniziali, distrugge la staticità illusoria del sentimento tra i due rinchiuso tra la vegetazione lussureggiante dell'isola di Riunione, portando i due personaggi a vagare per la Francia senza una meta precisa, intersecando questo continuo vagare con il sentire sessantottino e del suo stesso cineasta alla ricerca di un posto nel mondo in cui trovare sè stessi; contraddicendo le convenzioni del genere, Truffaut cita il finale di Tirate sul Pianista (1960), con un'anomala conclusione dove il regista agisce sempre più per sottrazione, portando il sentimento amoroso ai principali archetipi di gioia e sofferenza, facendo vagare Julie e Louis nella bianca distesa innevata il cui destino è lasciato alla libera interpretazione dello spettatore. Buoni incassi ai botteghini, ma massacrato dalla critica (con l'eccezione della buona analisi di Moravia, che ha centrato i punti salienti della poetica di Truffaut), l'opera è da rivalutare tra le cose migliori del regista.  

 

Catherine Deneuve

La mia droga si chiama Julie (1969): Catherine Deneuve

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