Regia di François Truffaut vedi scheda film
Difficile non intuirlo, ma ormai spero sia chiaro: Truffaut è nel mio cuore. Dopo aver descritto grandi menage a trois in tempi di guerra e aver consegnato alla storia saghe che dall’adolescenza arrivano all’età adulta, il grande maestro francese decide di impegnarsi in un lungometraggio di una brillantezza più unica che rara, in cui riesce come suo solito a mescolare con grande abilità melò e giallo, commedia e thriller. La mia droga si chiama Julie è probabilmente il più sottovalutato tra i film del francese, complice anche la grande quantità di citazioni e ammiccamenti, che lo rendono un bene necessario per i cinefili, ma che potrebbe risultare(ed è risultata) inconcludente per i critici di mezzo mondo. Invece il film è un capolavoro: un melodramma comico in cui l’amore si pone come unica liberazione dalle infamie della vita e dalle cattive intenzioni. La coppia di attori straordinari(Belmondo e Denueve), la musica spiazzante, i dialoghi eccezionali tra i due innamorati, contribuiscono a rendere il film quel gran film che è. Louis non conosce i rischi di prendere moglie per corrispondenza. Infatti, quando si sposa con Julie non può minimamente sospettare che quella è una truffatrice di nome Marion che ha come unico scopo quello di mettere mano al patrimonio del benestante marito. Quando la donna fugge, l’uomo la rincorre e cominceranno una nuova vita. Finchè lei non deciderà di voler mettere fine alla loro “felicità” per il gusto di avere qualche soldo in tasca. Importante da esaminare nel cinema della Nouvelle Vogue e di Truffaut in particolare è il ruolo e lo sviluppo della donna. Conosciamo le donne di Truffaut: belle, malvagie, seducenti, provocatorie, intelligenti e furbe. Julie/Marion presenta tutte le caratteristiche che potrebbero ricondurla alla donna tipo truffautiana. Come non innamorarsi di lei? Impossibile. Il povero Louis non riesce a volerle male nemmeno quando gli ruba il patrimonio, anzi. La rincorre in lungo e in largo non per punirla o per fargliela pagare, ma bensì perché la ama e vuole in realtà costruire una vita con lei. La scena della confessione davanti al caminetto, la scena dell’uccisione del detective e il finale strappalacrime sono le scene simbolo di questa immensa pellicola, epopea di amore profano, giocata sensibilmente sul labile confine tra l’interesse e il sentimento. Ma come al solito con Truffaut un solo genere non può bastare. In La mia droga si chiama Julie il regista inserisce tutte le sue ossessioni cinematografiche: Abbiamo Hitchcock, da sempre idolatrato dal regista, abbiamo i grandi maestri francesi come Renoir o Godard, abbiamo un contatto tra la Hollywood che va e la Hollywood che viene(Nick Ray che passa il testimone) e poi abbiamo soprattutto l’immagine ricorrente di un cinema che cerca veramente di imporsi non solo come immagine ma anche e soprattutto come arte nella memoria collettiva. L’amore per Truffaut è una malattia da cui è bello lasciarsi contagiare. I suoi personaggi maschili, sempre così persi dietro questo folle amore così da restarne schiavi, sono le immagine su cui si riflette costantemente lo stato d’animo del grande Truffaut. Anche con un’opera minore(ma neanche tanto minore, perché anche se paragonata ai suoi più grandi capolavori certo non sfigura) Truffaut porta avanti le sue grandi idee senza risultare mai ripetitivo o banale. Truffaut non fa cinema. Truffaut è il cinema.
Eccezionale.
Forse la sua miglior prova insieme a quella per Bunuel in Bella di giorno.
Grande maschera da uomo comune e alcune battute entrate nella memoria collettiva.
Non male per le sue poche scene.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta