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Beyond

Regia di Pernilla August vedi scheda film

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La recensione su Beyond

di OGM
6 stelle

Ciò che rimane del cinema svedese. Un convenzionale impasto di pathos, silenzi, emarginazione, matrimoni in crisi, a base di alcol, droga, violenze domestiche e di bambini che ne fanno quotidianamente le spese, eppure non reagiscono, e magari si rifugiano nel mutismo. Salvo poi farsi aggredire dal rancore, e successivamente dal rimorso, una volta raggiunta l’età  adulta.  Storie così se ne sono viste tante, nella realtà e nella finzione. Nella nostra immaginazione presentano ormai i segni dell’usura, tanto che occorre dar loro un soffio di vita nuova, fosse anche solo lo spiraglio su un pensiero inedito, perché, sullo schermo, acquisiscano la dignità dell’arte. Le lacrime, sparse qua e là, e l’ostinata assenza di parole non bastano, infatti, a conferire a questo  racconto lo spessore drammatico delle vicende sofferte ed irrisolte, che ritornano sempre, e non se ne vanno mai. Una figlia, dopo tanti anni di separazione, ritrova la madre, gravemente malata, che sta morendo in un letto d’ospedale. Con lei aveva da tempo troncato i rapporti, accusandola di non avere fatto abbastanza per proteggere lei e suo fratello minore dal padre bevitore, intemperante e manesco. In quel momento i ricordi prendono a riaffiorare, mentre alla mente si riaffacciano le inevitabili domande rimaste senza risposta. I flashback, proiettati verso l’infanzia della giovane donna, ci restituiscono i soliti emblematici episodi della disgregazione familiare: una vigilia di Natale rovinata da un padre ubriaco che aggredisce la moglie rovesciando l’abete, la visita di rito da parte di due incaricati dei servizi sociali, che vengono accolti in una cucina invasa da cumuli di stoviglie da lavare, la piccola Leena che vince una gara di nuoto unicamente in virtù della rabbia che ha accumulato in corpo, il piccolo Sakari sottratto ai genitori dall’autorità giudiziaria e trasportato via con la forza, tra la disperazione sua e della sorellina maggiore. Ogni cosa appare trattenuta dal desiderio di non oltrepassare i confini del sacro territorio del non detto e del già visto, come per non violare il tabù di una questione che,  per il semplice fatto di meritare tutto il rispetto, sia da considerare intoccabile.  L’interpretazione di Noomi Rapace, l’attrice protagonista, è infinitamente più convincente in Uomini che odiano le donne (2009), rispetto a questo film, in cui la sua espressività sembra interamente affidata all’effetto plastico prodotto dai suoi zigomi sporgenti su un viso dalla fissità marmorea. Le potenzialità di un talento recitativo e di un argomento tanto delicato, nonché di perenne attualità, vengono così colpevolmente annullate da un’eccessiva voglia di tacere, allo scopo di far parlare direttamente la normalità del disagio sociale, senza andare oltre la sua banale e crudele evidenza. Tutto risulta chiaramente espresso dai dati di fatto, però forse invano, perché questo Beyond non ci consente di capire nulla più di quanto siamo convinti di sapere, né ci aiuta a formulare ulteriori interrogativi, che si mantengano, istruttivamente, al di fuori della nostra portata.

 

Questo film è stato selezionato come candidato svedese al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero.  

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