Regia di Eitan Tzur vedi scheda film
Quando il realismo è nudo, pacato ed essenziale, eppure è intenso, eppure è sorprendente. La storia di Naomi è la cronaca dell’amore che non è fatto di sentimento, né di valori umani, ma solo di rassegnazione, di pace con la vita, di adattamento dei sensi ad una realtà che non è né buona, né cattiva, ma, semplicemente, indifferente ai nostri desideri. Le emozioni sono fuochi che si consumano in un attimo, come la vampata dell’ira, la fiamma della gelosia, la stilettata del dolore ed il sordo bruciore del tradimento. Tutto il resto è abbandono alla cecità di chi ha visto troppo, per voler vedere ancora. Gli intervalli tra i pochi, sporadici gesti che decidono le svolte esistenziali, sono pieni di una grigia mancanza di senso, che è un motivo per stare uniti ed attaccarsi alle piccole cose di tutti i giorni. Questo è il carattere della storia di Naomi, Ilan e di sua madre, i cui momenti veramente importanti sono quelli in cui non accade nulla, perché la consegna della normalità cancella le colpe, i sospetti, le paure, e riesce persino a far giungere al cuore un timido, ma rassicurante, accenno di intimo tepore. L’uomo solo raramente compie grandi passi, o commette gravi errori, e tra uno e il successivo si riposa, accettando ciò che viene: una passività che sa quasi di filosofica saggezza, benché, in effetti, non sia altro che il fisiologico sonno della coscienza, che regolarmente deve addormentarsi, per poter dimenticare, e poi riprendere il cammino. L’anima di questo film è il romanticismo negato secondo cui, per essere felici – o almeno illudersi di esserlo – occorre tenere a bada i propri sogni; e, una volta che sono fuggiti, basta chiudere la porta del recinto e non pensare a come e perché sono volati via.
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