Regia di Massimo Coppola vedi scheda film
Hai paura del buio. Non ci sono punti di domanda. Di domande ce ne sono poche anche fra Eva e Anna, 20enni o poco più, fiori d’acciaio nel panorama piatto delle campagne di Melfi. Quando si vedono si riconoscono, hanno la stessa fibra: forse per questo Anna non chiede nulla, trovandosi la sconosciuta Eva rifugiata in auto. La porta a casa, le offre un letto. Per istinto, senza punti interrogativi. Hai paura del buio non racconta un incontro, né un confronto: l’Italia e la Romania, la ragazza senza famiglia e quella senza amici, si congiungono solo per andare ognuna per la propria strada. Eva arriva in Italia dopo aver venduto tutto ciò che ha, con una missione che le preme nelle vene. Anna fa i turni in fabbrica, alla Fiat di Melfi, ha più buon senso di entrambi i suoi genitori messi insieme e l’unica persona con cui si apre è la nonna, malata terminale. La prima è testarda ma aperta e passionale; la seconda dura e affilata come i suoi lineamenti e il paesaggio che le scorre di fianco lungo la strada per il lavoro. Massimo Coppola fa tesoro dell’esperienza maturata con la sua creazione Avere ventanni, serie di documentari girati per Mtv che per venti minuti scrutavano senza filtro nella vita di un ragazzo, nella sua città e nella sua quotidianità: il suo esordio nel cinema di fiction prosegue quel pedinamento vorace, incollando la macchina da presa alle sue protagoniste. I loro vent’anni si scrutano vicendevolmente e si offrono sullo schermo (quasi) senza filtro, con la rabbia grezza che le accompagna, con le risposte che si sono costruite da sole, perché alle loro domande nessuno risponde sul serio. Il mondo pesa sulle loro spalle troppo presto; ad attutirlo non basta la musica, che, come tutto il resto, non appartiene a loro (l’iPod pieno di Joy Division che si spartiscono è stato abbandonato su un taxi da qualcun’altro). Coppola pecca di troppo amore per le sue esordienti (la rumena Alexandra Pirici e l’italiana Erica Fontana, entrambe folgoranti per intensità e capacità di bucare lo schermo), al punto che, a tratti, sembra non riuscire a scollare l’obiettivo da loro; ma intanto fotografa uno squarcio d’Italia che al cinema si vede poco o mai, e gira con mano sicura, senza punti di domanda.
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