Regia di Alix Delaporte vedi scheda film
L’amore, a poco a poco. La conoscenza, a tempo a tempo. La maternità, riconquistata un po’ per volta. Il tempo ed intorno ad esso si muove Angèle, donna dal passato e dal presente ignoti, da poco uscita dal carcere. Lei ha bisogno di riannodare i legami perduti. Il tempo l’è prezioso. Per avere l'affidamento del figlio, nel frattempo lasciato in custodia ai nonni, cerca un contratto di lavoro e un uomo da sposare. Mette un annuncio sul giornale al quale risponde Tony, un marinaio del porto. Durante il loro primo incontro non riescono a entrare in sintonia. Angèle non si rassegna e continua a insidiarlo: si sistema in una stanza a casa sua e comincia a lavorare anche lei al porto. Pian piano le due anime solitarie troveranno il modo per comprendersi e, forse, amarsi.
Angèle cambierà, di fatto, la vita di Tony, un uomo consacrato solo al suo lavoro e che non sperava ormai più nulla dalla sua vita. Anche Angèle vivrà in simbiosi con lui, specie, in rapporto alla solitudine e alle incertezze esistenziali: come due pesci di cui è difficile riconoscere la specie. Semplicemente, seguono il branco e tacciono, muti. A legare i due un abbraccio, che arriverà, sebbene scontato, alla fine del film, a suggellare una storia che se avesse preso un’altra piega e avesse avuto maggiore coraggio nell’andare al di là dello scontato, sarebbe stata molto più interessante.
Sebbene sia evidente che la Delaporte, qui al suo debutto nel lungometraggio, già Leone d'oro nel 2006 con il corto Comment on freine dans une descente?, giochi di sottrazione, dando vita ad un ritratto minimale, manca però quella profondità necessaria alla storia e degli stessi personaggi, che invece risultano una sorta di puro esercizio di stile, con una regia strutturata sui movimenti dell’anima, ma piuttosto inerte. Ci si impegna come spettatori per seguire ogni tipo di sfumatura degli sbalzi d'umore dei due protagonisti, ma che alla fine risultano fine a se stesse. Tutto è puramente istintivo, carnale e ridotto all’osso, anche i dialoghi sono scarni. A guidare il tutto è una casualità che predilige gli sguardi alle parole. Ma si tratta di uno sguardo freddo per cui è come “fare sesso é come mangiare e dormire”: tutto diventa puramente banale, specie per Angèle, diversamente da quello che pensa Tony in rapporto all’amore, per il quale é qualcosa che ha che fare la parte più profonda del suo animo, del suo cuore, per cui non si può svendere.
Con queste giuste premesse ci saremmo aspettati la prosecuzione di una storia originale e non così eccessivamente vicina agli stereotipi del romanzo rosa. Alla fine ci si sente un po’ come quelle barche, meravigliosamente fotografate dal direttore della fotografia, Claire Mathon, alla deriva.
Giancarlo Visitilli
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