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La città invisibile

Regia di Giuseppe Tandoi vedi scheda film

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La recensione su La città invisibile

di FilmTv Rivista
4 stelle

Un film come La città invisibile pone delle domande urgenti. Che fine ha fatto la dignità nel cinema italiano? Come è possibile che sulle macerie ancora fresche di L’Aquila si osi mettere in scena un teatrino mocciano che passa un colpo di spugna sulla tragedia, il dolore e gli scandali della speculazione del miracolo della ricostruzione? Ridotto alla forma unica dei metri sopra il cielo, dei piccoli grandi amori e degli ultimi baci, il cinema italiano è ormai saldamente ostaggio di un modulo narrativo avvilente riassumibile nella corsa al successo tematizzata da Amici di Maria De Filippi. L’amore (quello maiuscolo, ovviamente) è l’unico valore e la lingua italiana è ridotta a un pessimo copione di una maldestra fiction. Vengono i brividi a pensare cosa sarebbe potuto accadere al cinema italiano nell’immediato Dopoguerra se, invece dei Rossellini e dei Lattuada, fosse già stata in circolazione gente come Giuseppe Tandoi. Ambientato nelle tendopoli, La città invisibile è poco più che una raccolta di sketch nei quali il terremoto e la devastazione sono solo uno sfondo come un altro. Luca s’innamora di Lucilla, Valeria del rumeno Sorin, Remo pensa solo alla sua band e come collante di questo improbabile campionario di sopravvissuti c’è padre Juan, mentre nonno Carmine (Riccardo Garrone) è la voce narrante che si profonde in banalità che non dovrebbero essere ammesse nemmeno alle elementari. La cosa peggiore del film, quella più scandalosa, è come si risolve intorno all’ottantesimo minuto la faccenda delle persone che hanno abbandonato le tende. Stando a La città invisibile, stanno tutti bene. Se invece vi prendete la briga di cliccare sul blog http://miskappa.blogspot.com, curato da Anna Colasacco, scoprite una realtà ben più inquietante. Basti pensare che i circa 27 mila sfollati in autonoma sistemazione, cui spettano circa 200 euro al mese per la casa, li ricevono con ritardi gravissimi e umilianti. Tanto per dire. La città invisibile è propaganda. Propaganda che copre con il velo del linguaggio unico della fiction la morte e il dolore. Sì, le pietre di L’Aquila palpitano. Ma di furore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 32 del 2010

Autore: Giona A. Nazzaro

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