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Venere nera

Regia di Abdellatif Kechiche vedi scheda film

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La recensione su Venere nera

di FilmTv Rivista
8 stelle

Dal 1810 al 1817, storia (vera, documentata) di Sarah “Saartjie” Baartman: dal circo umano in cui recita a Londra all’Accademia Reale di Medicina di Parigi, dagli spettacoli per i salotti borghesi ai bordelli, dalla strada alle conferenze in cui - calco di un corpo cadavere, genitali in formaldeide - diviene argomento per dimostrazioni aberranti. Per le proprie peculiarità fisiche (bassa statura, adipe accumulato sulle natiche, piccole labbra di grandi dimensioni) Sarah è fatta oggetto di sguardi. Kechiche ci introduce alla sua vita partendo dalla morte, da un corpo degradato a feticcio, nell’alibi di una scienza inesatta. E poi in scena è la voracità degli occhi, che nel guardare si cibano di pregiudizi finalmente inverati, in un corpo che si offre conformandosi ai desideri del pubblico, appagando nello spettacolo/baraccone la pretesa di una presunta superiorità etnica. Venere nera, in concorso a Venezia 2010, è un atto d’accusa alla cultura intimamente imperialista dell’Occidente, non importa se vestita di disprezzo o compassione: gli sguardi che avvolgono, anelano, stuprano Sarah sono ciechi, autoriferiti, figli di una cultura che non vede l’altro, se non come proiezione di sé. Non sono solo le mani protese a toccare a farsi mero strumento di piacere, ma anche quelle tese ad aiutare, ottuse dall’egoismo della solidarietà, incapaci di capire il reale. Kechiche si affida a una retorica naturalistica, elude motivazioni e giudizi, annulla qualsiasi psicologismo: non spiega, lascia che la complessità delle cose si affastelli, in contraddizioni impossibili da ridurre a banale discorso argomentativo. Scruta da par suo l’evidenza dei corpi, coglie dalla superficie della realtà, in lunghe sequenze rese pulsanti dalla frenesia della macchina da presa. Coerentemente, lo spettatore non accede mai a una dimensione che stia al di là dei fatti. Che si accumulano, sfiancano. Ma è proprio nella durata che quel corpo opaco teso all’annullamento (nell’alcol, nella malattia, nella mistica svuotata della danza e del sesso) ci dice qualcosa di Sarah: dettagli, perché l’arte di Kechiche, per non cedere a vizi di sguardo, non ha la presunzione di comprendere la donna, inscriverla in categorie. Perché quello che la brutalità di questo Lola Montes anticolonialista impone allo spettatore è di ripensarsi, eticamente, oltre ogni pregiudizio.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 24 del 2011

Autore: Giulio Sangiorgio

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