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La solitudine dei numeri primi

Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film

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La recensione su La solitudine dei numeri primi

di maso
8 stelle

 

A Mattia non piacciono le feste e a me non piacciono i libri ma mi è piaciuto moltissimo "La solitudine dei numeri primi" anche in questa seconda visione dopo quella al cinema.

Un film che riesce a raccontare con atmosfere angoscianti da horror d'avanguardia radicato nei classici la fragilità dell'infanzia e la difficoltà di essere genitore che con una scelta sbagliata o superficiale può condizionare l'esistenza dei suoi figli e di rimbalzo la sofferenza nella propria:-Le sofferenze più grandi me le hanno date i miei figli....io ho paura di Mattia-: ci dice la Rossellini mamma priva di sapienza.

La storia di Mattia e Alice ha i contorni di un incubo di vita vissuta tripartito fra l'alternanza sinistra della loro attualità che sembra essere reale e senza squarci sulla pelle mentre l'adolescenza del loro incontro successiva al trauma e l'infanzia che l'ha preceduto sono esposte da Costanzo come degli incubi conficcati nella memoria, nella nebbia accecante della montagna e nella pioggia raggelante del parco.

Le due scene incrociate sono il picco del film: spiegano il perchè e il per come ritornando d'improvviso all'attualità e l'unità di luogo nel quale Mattia e Alice son due numeri primi che rischiano di contravvenire alla legge matematica per la quale non si incontrano mai e si dividono solo per loro.

Costanzo calca la mano sulla colpevolezza di una madre che non capisce il bisogno di essere bambino di Mattia, a otto anni non può sostituirla come figura guida per la sorellina autistica e si alza a notte fonda per godersi il suo Allegro chirurgo in santa solitudine, ciò non serve ad aprire gli occhi della mamma che anche alla richiesta di andare alla festa da solo gli consegna l'ennesima sua incomprensione, lo stesso accade ad Alice alla rovescio nel caldo della camera di albergo in una località sciistica dove viene forzata dal padre a rinunciare ai suoi cartoni ed immergersi nella montagna nebbiosa.

La festa è una riunione di pagliacci kingiani per Mattia come spinto dagli spettri ritorna nel parco dove non c'è più luce, il buio e la pioggia hanno inghiottito la sua infanzia e lo hanno schiacciato sotto il peso delle sue ingiustificate responsabilità.

Costanzo prende le inquadrature da mastro Kubrick e porta Mattia bambino in un tunnel che sembra quello attraversato dai drughi di Arancia Meccanica, il padre di Alice in un corridoio che sembra quello dell'Ovelook Hotel ma oltre a questi tocchi costella il suo film di dialoghi corposi in situazioni forti e trovate registiche ammirevoli spalmate su una sceneggiatura niente affatto banale in cui la linea temporale marcia dritta solo alla fine della storia.

I personaggi sembrano a volte degli spettri e il passato non sembra cancellarsi mai: al ritorno quasi casuale in quel tunnel dal quale sembrava uscito Mattia riesce con la consapevolezza di non poter seppellire mai quell'episodio che lo ha trasformato e la figura sfocata di Michela ancora nel suo costume sembra riapparire alle sue spalle mentre in realtà è Alice sempre più convinta di questo difficile sentimento che li ha avvicinati fino al contatto ad intervalli irregolari nel loro lungo cammino.

Alice a sua volta nascosta come una bambina vede ricomparire da una porta lo stesso orco del passato che vuol costringerla a fare ciò che non vuole accompagnato da un'altra presenza del suo presente che non sembra poter raddoppiare il suo numero primo.

La figura che ha fatto incontrare Mattia e Alice alle superiori è la precoce Viola, femmina diabolica e sensuale che con la sua truppa di amiche perfide picchia la lingua a martello sulla zoppia di Alice novella Carrie senza sguardo di Satana, sguardo che sembra avere Mattia con il suo autolesionismo post trauma che lo accompagna tanto quanto la mostruosa padronanza con i calcoli.

Il ritorno al contatto fra Mattia e Alice è proprio il matrimonio di Viola che è smpre la stessa per i loro e i nostri occhi, sempre Aurora Ruffino immutata nel suo sorriso tagliente mentre Alice e Mattia sono diventati Alba Rohrwacher e Luca Marinelli capaci di risolvere i loro ruoli in maniera oserei dire prodigiosa a dimostrazione che non solo gli yankees sanno deformare il loro corpo per esigenza lavorativa.

Lei fotografa è afflitta da anoressia nervosa, lui matematico geniale e premiato vive solo a Jena ed è appesantito nel fisico da una vita isolata nel silenzio della piattissima Germania.

Nel momento di massima distanza c'è per entrambi una possibilità di congruenza fissata in una foto sfocata volata via non per magia, il ritorno ad un nuovo incontro non suona più come la musica inquietante de "L'uccello dalle piume di cristallo" ma ha il sound grintoso di Bette Davis Eyes cantata da Kim Carnes.

 

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