Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
Un dramma familiare, un thriller dei sentimenti e un horror dell’anima (soprattutto, un horror) generano una commistione di tante contrastanti emozioni. Ma, su tutte, prevale l’angoscia. Un’opprimente, soffocante angoscia. Quella dei protagonisti (vissuta apertamente, prima, di nascosto, in seguito). Quella dello spettatore medio (me stesso) del tutto a disagio innanzi ad uno spettacolo psicoanalitico così lezioso nelle forme, eppur così vuoto e inconcludente nella sostanza.
La sostanza, appunto: allucinante abnegazione della carne, la cui “purezza” (almeno in tenera età) retrocede di fronte all’asprezza della vita. Il corpo, custode di segreti indicibili, testimonia oscenità indelebili, che tanto più si manifestano precoci quanto più incidono in profondità e rimangono impresse, per sempre.
Invero - guardato con le migliori intenzioni - ho avuto l’impressione che la ricerca estrema di una indiscussa, lampante autorialità abbiano indotto S. Costanzo a realizzare un gioco al massacro estenuante ed eccessivo. Sembra voler contagiare chiunque si accosti alla tragedia inscenata nel film del medesimo vuoto esistenziale dei protagonisti (del tutto incapaci di sperimentare attimi di rinascita interiore). Sembra volerci trascinare a tutti i costi in un abissale vortice di profondo pessimismo. Eppure, le tante tragedie umane che nel quotidiano ci sfiorano raramente sono condannate a non evolversi mai. A rimuginare, reiteratamente, in silenzio. Lo smarrimento più totale, spesso, è una “comodità” che i reali protagonisti di tali tragiche storie non si possono permettere.
Interminabili silenzi (esasperati da incomprensibili sussurri) si prestano a questa logica. La colonna sonora non è da meno: pop-vintage quando vuole trasmettere una scossa ad emozioni forti ed esuberanti. Metallica e tenebrosa (stile Goblin in Profondo rosso) nei peggiori momenti.
Uno spettacolo eccessivamente disturbante difficilmente riuscirà a coinvolgere davvero.
E poi ci si stupisce della disaffezione del pubblico a certo cinema italiano. Da un estremo (Vanzina & Co.), all’altro (film come quello in commento), sono, però, convinto che ci sia un grande mare.
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