Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
Se sei un disadattato, rassegnati: nella vita rimarrai sempre solo. Posto che qualche differenza dal libro ci sia (ma l'autore dell'omonimo best seller, Paolo Giordano, firma anche la sceneggiatura insieme al regista, figlio del noto giornalista Maurizio Costanzo), la storia in sè comunque funziona e gode di una discreta verosimiglianza, senza trascurare la buona prestazione degli attori (fra i quali anche Isabella Rossellini e Filippo Timi). Percui si parte con basi abbastanza solide, ma non trascorre molto prima che Costanzo decida di mettere in chiaro che, secondo lui (e lui solo), questo film è un thriller: un abuso di primi piani e di rapidi zoom (espediente televisivo), la scelta di ambientare la maggior parte delle scene in inverno e di tenere spesso in ombra - o inquadrarli di spalle - i due personaggi principali, per non parlare della colonna sonora talvolta fuori luogo, a sottolineare inquietudine e disagio persino mentre i bambini si travestono per andare ad una festa di compleanno: un po' eccessivo, anche per uno come Mike Patton che certo non è un allegrone (leader storico dei Faith No More, non male come musicista, ma era decisamente meglio come cantante). E, last but not least, è incomprensibile la volontà di (de)costruzione della trama in quattro fasi temporali ben precise (1984, 1991, 2001, 2008) che - escludendo l'ultima, che tale rimane anche nella pellicola - vengono costantemente alternate fra loro, rimbalzando senza posa lo spettatore fra un'epoca e l'altra, con l'obiettivo probabile di aumentare la tensione, ma con il risultato concreto di fare solamente confusione o annoiare. In due ore di storia, d'altronde, assistiamo ad una miriade di particolari totalmente ininfluenti che potevano, francamente, esserci risparmiati: mezzora in meno di durata poteva giovare al film. Un esempio semplicissimo: la costruzione della scena del trauma della bambina. Lunghi minuti per sapere come si sia procurata la ferita alla gamba, l'attesa sale sempre più, poi taglio temporale a 7 anni dopo e la stessa bambina, ora ragazzina, lo racconta in dieci parole, come nulla fosse: roba che Hitchcock si sarebbe sparato alle tempie. Colmo dei colmi, poco dopo Costanzo sente pure il bisogno di mettere in scena l'incidente, come se il pubblico ancora non avesse capito. La conclusione della faccenda è ambigua quanto basta (un abbraccio? un bacio?), ma il titolo parla di solitudine ed è inutile farsi troppe speranze: la scena giustamente sfuma e rimane addosso un vago senso di angoscia, fattore positivo poichè è sostanzialmente quello che il film vuole (e la chiusura senza musiche, in questo senso, è una scelta azzeccata di Patton). Scenografie di Marina Ansolini e Antonello Geleng, figlio del Rinaldo collaboratore di Fellini. 5,5/10.
Mattia e Alice sono due bambini difficili: lui è un genietto con una gemella autistica (alla quale farebbe di tutto pur di potersene sbarazzare), lei cresce nell'indifferenza paterna e a 8 anni ha un grave incidente che la rende zoppa a vita. Si conosceranno alle medie e rimarranno amici, pur chiusi ciascuno nella propria solitudine, per molti anni.
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