Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
Può accadere che un ragazzetto di 26 anni, neolaureato in fisica, scriva un romanzo dal titolo "La solitudine dei numeri primi" con il più potente editore italiano. Può anche accadere che a questo romanzo venga conferito uno di quei premi che le case editrici usano come specchietto per le allodole per rimpinguare le loro casse e che nella fattispecie questi premi siano addirittura due: il Campiello e lo Strega. Poi può accadere che un regista sensibile che ha girato due film memorabili passati pressoché inosservati (Private e In memoria di me) nel paese dove tutti - a partire dal pubblico femminile - abboccano a scrittori come lo stesso Giordano o la Tamaro, figlio di un piduista molto intimo con il potente editore italiano nonché presidente del consiglio di cui sopra, si rivolga a papà per uscire finalmente dalla nicchia (Medusa produce e distribuisce…). È la storia, tutta italiana, di un film tracotante, ambiziosissimo, involontariamente caricaturale che Saverio Costanzo ha portato sul grande schermo sceneggiandolo con lo stesso autore del romanzo. La storia è quella di Alice (Rohrwacher) e Mattia (Marinelli), trentenni segnati da un trauma infantile ed incapaci di uscire dalle sacche di un'esistenza travagliata che porta entrambi a fare del proprio corpo un capro espiatorio. Ambientato a Torino e girato con mano svogliata e senza i guizzi figurativi dei due film precedenti, La solitudine dei numeri primi delude innanzitutto per la povertà dei tratti psicologici dei due protagonisti: ambedue, come i loro comprimari, sono tagliati con l'accetta, raccontati in un contesto paramucciniamo (la scuola, la discoteca, le discussioni in famiglia) con l'apporto della pessima colonna sonora rockettara di Mike Patton, frontman dei Faith No More, ennesima strizzatina d'occhio al pubblico giovane e abboccane.
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