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Potiche. La bella statuina

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Potiche. La bella statuina

di kotrab
8 stelle

Dico subito che il François Ozon che amo di più è quello dolente di Sotto la sabbia o Le temps qui reste e quello grottesco tipo Sitcom o il fassbinderiano Gocce d'acqua su pietre roventi, ma in verità mi piace un po' tutta la sua filmografia (forse un poco meno riuscito potrebbe essere Angel). Potiche conferma non solo l'ecletticità del nostro, ma anche le sue capacità di confezionare un film divertente, intelligente, curato, stimolante.
Torna la commedia, torna C. Deneuve, torna J. Rénier, tornano i colori, torna la musica, torna la satira, torna la cinefilia (a quanto dicono...) per una salda struttura che non sente cedimenti e si avvale di un cast di tutto rispetto. Una storia di riscatto da parte di una donna solo apparentemente sottomessa, incapace e ingessata (simbolo imposto è la buffa acconciatura dei capelli): la sua scaltrezza ha modo di rivelarsi al mondo (alla famiglia) solo per una serie di fatti fortuiti ma in realtà lei è sempre stata la più furba, sotto sotto, anche lei ha i suoi segreti e proprio perché è riuscita a darli a bere tra la mobilia leziosa e la famigliola, riuscirà anche a soverchiare il marito dispotico solo a parole (bravissimo F. Luchini, ma molto brava anche la sua segretaria K. Viard).
Ozon ha mano felice e regala ancora un buon film, la sua leggerezza di tocco riesce a incastrare tutti gli aspetti della vicenda (anche l'inverosimiglianza del numero musicale finale, quasi metacinematografico - o senza "quasi") e ad amalgamare bene i colori pastello delle tappezzerie. Gioca bene in particolare restituendo le metaforiche sembianze anni '70 fin dallo stile dei titoli di testa ma soprattutto chiede agli interpreti di misurare attentamente il confine del ridicolo: lo stereotipo e la forzatura sono usati per spernacchiare con raffinatezza e allegria gli stessi luoghi comuni e, per quanto riguarda la caratterizzazione di Laurent (J. Rénier), lascia trasparire (o nasconde) con sottilissima abilità le allusioni omosessuali (o almeno così credo: la sua fantomatica fidanzata non si riesce mai a vedere, ma soprattutto si intuiscono quando parla con qualche insicurezza alla madre di un ragazzo che lo aiuta con i volantini e poi loro si guardano sorridendo da lontano, per non dire di qualche posa particolare di Laurent, aspetto che rientra come detto nella caratterizzazione sì stereotipata, ma anche ironica e in ogni modo appena accennata). 7 1/2

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