Regia di Paul Haggis vedi scheda film
Sicuramente desta una certa impressione il fatto che un regista consacrato (già nominato agli Oscar per la regia e vincitore dello stesso per la sceneggiatura), e pure poco prolifico come Paul Haggis (in media un film ogni tre anni) decida di cimentarsi in un remake di un film francese ancora fresco nella memoria degli spettatori più attenti.
A conti fatti regge bene (se la fantasia latita, la professionalità non si discute), ci aggiunge anche qualcosa, ma ovviamente il succo del discorso quello era e quello rimane.
Quando Lara (Elizabeth Banks) viene arrestata e condannata per omicidio, la vita del marito John (Russell Crowe) viene sconvolta.
Persa ogni possibilità di giustizia decide allora di trovare un modo per farla evadere e poi fuggire insieme a lei ed il loro figlio per rifarsi una vita da un’altra parte.
Il tutto però deve essere organizzato alla perfezione ed anche ogni singolo secondo può risultare decisivo.
Le domande principali sono le stesse dell’originale, evidentemente molto care al pubblico americano e la “necessità” del remake credo derivi dalla pigrizia della massa a guardare un film francese.
Fino a che punto è lecito spingersi per la propria famiglia?
Cosa saremmo in grado di fare e diventare?
L’ordinato e normalissimo John (per dirla tutta un attore che è stato prima gladiatore leggendario e poi Robin Hood dell’immaginario della persona normale non ha poi tanto) scende negli abissi sociali, conosce tizi poco raccomandabili, organizza un piano complesso (un po’ troppo legato a variabili casuali), arriva fino al punto di commettere un omicidio per raggranellare i soldi che gli servono.
Le dinamiche ricalcano fedelmente l’orginale, seppur quando ve ne sia la possibilità affiori qualche estrosismo maggiore (vedasi la fuga in macchina di John dalla casa dello spacciatore con una stupenda ripresa dall’ottica del moribondo), le sostanziali divergenze giungono solo lungo il finale, molto più esplicito e dilatato in un’ottica quindi molto più vicina alla sensibilità americana (ed infatti il film dura 25 minuti in più).
Mezz’ora al cardiopalma, non tutte idee nuove di zecca, ma il connubio riprese-montaggio (Jo Francis)-musiche (Danny Elfman in gran forma) è tecnicamente ragguardevole (vedasi ad esempio la scena del tentativo di suicidio di Lara in auto) e personalmente mi sono sentito in questa parte maggiormente “tirato in mezzo” rispetto al film di Cavayè.
Certo questo non basterebbe per giustificarne la realizzazione, ma offre comunque qualcosa in più che me lo ha fatto apprezzare anche se poi nella ristesura (molto parziale) della sceneggiatura ancora una volta non mancano debolezze narrative anche clamorose (esempio topico, la forzatura della serratura dell’ascensore della prigione con John che se la cava per grazia ricevuta).
Discutibile nella genesi, altalenante nello sviluppo, ma anche condito da alcuni passaggi ottimi.
Non desta una grandissima impressione il fatto che un regista che si è creato un certo pedigree si dedichi ad un'operazione prevalentemente commerciale.
Arrivando al sodo, nella costruzione non riesce ad evitare alcune pecche (anche grossolane), presenti comunque anche nell'originale (ma visto che c'era poteva migliorare), mentre trova grandi soluzioni quando la situazione si fa più concitata (la lunga parte finale toglie il fiato).
Complessivamente all'altezza (senza strapparsi i capelli) anche se rimango in attesa di rivederlo all'opera con la farina del suo sacco ("The third person" è in arrivo).
Per l'immaginario di attore che si è creato nel corso degli anni non è proprio credibile nel ruolo della persona qualunque chiamata ad azioni fuori dalle sue possibilità.
D'altro canto in questo frangente può sbizzarrirsi.
Più che sufficiente.
Ha qualche acuto (vedi la scena della fuga in auto), prova ad essere incisiva, ma anche per lei, in qualche modo, vale quanto detto per Crowe visto che la mia memoria la associa a scenari più light (commedie, romantiche o comiche che siano).
Sufficiente.
Piccolo ruolo, ma piuttosto sofferto.
Bello rivederlo all'opera, tanto più in un ruolo fatto più di silenzi che di parole (poche, ma ben spese).
Poche scene, ma si può dire che è in parte.
Molto determinato e quindi piuttosto credibile nella sua azione che assume il suo rilievo nel momento migliore del film.
Solo una scena per lei che peraltro avviene quando i "giochi" non sono ancora cominciati.
Sufficiente.
Solo un'apparizione per lui in una parte da "uno che la sa lunga" che si presta al suo ego pronunciato.
Ruolo di contorno, è la madre di un'amica del figlio di John, che non le offre grandi occasioni, ma la presenza è di quelle che non passano comunque inosservate.
Sufficiente.
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