Regia di Paul Haggis vedi scheda film
I borghesi piccoli piccoli sognano di essere “superman” per vendicarsi dei torti subiti e si commuovono solidali per la romantica lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento: un patetico idealismo, nemico della grigia routine, dipinge una realtà ai loro occhi solidamente immodificabile con le tinte vivide di uno sfondo malleabile di fumetto.. Ma in “The next three days” la personalità potenzialmente ambigua di John Brennan un pacifico professore universitario di Pittsburgh costretto a trasformarsi in genio dell’evasione per tirare fuori dalla prigione la moglie Lara ( Elisabeth Banks), condannata all’ergastolo per omicidio, viene ridotta da Haggis a misura del carisma fisico di Crowe.
Lo spettatore è piuttosto coinvolto dalla stupefacente metamorfosi del tranquillo docente di lettere soprappeso, ne segue con ansia le pericolose incursione nella Suburra del crimine, cosicché trascura un paio di domande che invece dovrebbe farsi: Lara è innocente o colpevole? E il marito perché intraprende una battaglia impossibile? Forse è sciocco domandarselo, eppure il volto patito e l’allarmante apatia di Crowe suggerirebbero risposte ben poco rassicuranti: “Tu vivi in un altro mondo” lo accusa la moglie durante un drammatico colloquio in carcere e data la professione di John si evince che l’universo parallelo in cui è sommerso è quello dei buoni libri. Lì, lo spiega lo stesso protagonista a lezione, la fiducia nella virtù conta più della virtù, lì gli impulsi irrazionali sconfiggono la logica. La complessa problematica sfiorata e subito dimenticata a vantaggio dell’azione, volta alla ricomposizione dell’idillio interrotto, era la chiave di lettura degli eventi post 11 settembre nei film precedenti di Haggis, “Crash” e “Nella valle di Elah”: si fanno le guerre perché la fiducia della virtù conta più della virtù; sono le paure dell’inconscio a creare nemici immaginari e a offuscare la visione della verità; ogni incrocio di città è terreno di scontro.
In “The next three days” le origini del conflitto sono però ricondotte alla classica per quanto arcaica necessità di difendere ad ogni costo il territorio tribale contro l’impotenza dello Stato di stabilire la giustizia: il buono indossa le armi del malvagio, perché non esistono altri strumenti per ristabilire l’ordine. Vale la pena dunque narrarne l’epopea per controllarne ansie e tensioni: le frustrazione inflitte agli uomini comuni dalla Storia le riscattano gli eroi di periferia, anche quando hanno in mente come compenso per l’audace sfida una spiaggia ai Carabi.
Per confronti e percorsi culturali suggeriti dal film cfv mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it/post/2630088.html
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