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The Town

Regia di Ben Affleck vedi scheda film

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La recensione su The Town

di ROTOTOM
4 stelle

Charlestown è un quartiere di Boston che ha la pittoresca caratteristica di avere un tasso di rapine in banca tra i più alti degli USA. Charlestown ha anche l’oleografica caratteristica di essere un quartiere di case dai tetti rossi che si infiammano al tramonto come un villaggio di pescatori norvegese, e in effetti sorge sul Charles uno dei due fiumi di Boston. E in effetti le stradine strette strette che contraddistinguono il centro del quartiere fanno pensare proprio ai labirintiche mappe urbane delle città portuali.

In questa città composta tutta da discendenti irlandesi si muove Ben Affleck che è irlandese come il mio gatto. Nonostante tutti si conoscano come in un paese di pescatori da generazioni, c’è qualcuno che riesce contemporaneamente, nello stesso quartiere, a rapinare banche e a vivere tranquillo magari nell’isolato a fianco.

E’ un po’ la bufala di Clark Kent che entra in una cabina telefonica ne esce fasciato da una tutina rossa e blu col mantello e nessuno lo riconosce.

Poi c’è Lei. La bella sedotta dalla Bestia che è direttrice di banca ma si dedica al volontariato (ma figuriamoci, e i fratelli Lehman che fine hanno fatto?) e cura un orto ed è così pregna di buoni sentimenti che in confronto Madre Teresa di Calcutta era una beona bestemmiatrice incallita. Conosciuto il tizio che non sa essere la Bestia, molla la banca per fare nulla (!) e probabilmente seguire quel tizio conosciuto nella lavanderia a gettone col mascellone volitivo e lo sguardo perennemente aggrottato in un espressione di piacioneria onanistica simile ad una paresi post ictus, in capo al mondo. Il tizio è Ben Affleck. Il rapinatore di banche dal cuore buono che vuole trarsi fuori da quella vita cattiva che lo ha spinto a fare quello che ha fatto ma che ora che ha conosciuto lei, non vuole fare più. “Non ho mai ucciso nessuno”, dice Ben Affleck, a parte qualche film. Non è un caso che abbia voluto interpretare DEVIL, il supereroe cieco. Cosa avrebbe detto Matt Murdock se ci avesse visto? E’ pure avvocato…..

Molto probabilmente Affleck qui alla seconda regia, s’è l’è presa molto col regista di Gone baby gone (*) per non averlo voluto come attore imponendosi duramente in questo fino a riuscire ad ottenere la parte.  L’ha ottenuta talmente tanto che  sembra  abbia la macchina da presa incollata alla faccia. Dietro di lui potrebbe esserci Cervinia e non ce ne accorgeremmo. E’ la magia del cinema, dicono. Come no. The Town presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e salutato come una fresca novità, soprattutto da chi non l’ha visto, è un medio (nella peggiore accezione del termine) film di gangster che pesca a mani basse nel database di film del genere senza curarsi affatto di reinventare qualcosa che lo renda interessante. Un film di facce riprese in primo piano sullo schermo che se la cantano e se la dicono, soprattutto una sceneggiatura piatta e banale sull’etica distorta del crimine e sulla storia d’amore tra il rapinatore e l’ignara Cenerentola che trova nel primo venuto il principe azzurro. Cito nell’ordine: Carlito’s Way (2005) ,  Heat (1995) di Michael Mann, per quanto riguarda la famiglia allargata di rapinatori ma senza le implicazioni etiche della scelta di vita, specchio e immagine coincidente delle famiglie dei poliziotti. Sempre da Heat il rapporto tra il rapinatore e la donzella ingannata.

Le maschere sono solo una simpatica divagazione sul tema del camuffamento: da suore qui, da presidenti degli Usa quelle dei rapinatori surfisti filosofi  di Point Break (1991) di Kathryn Bigelow. Il finale è talmente scontato e stravisto da essere fastidioso (un esempio a caso: Diamond 13 (2009) recente polar con G. Depardieu ).

In The Town manca sia l’epica della storia di uomini dal destino segnato, sia l’asprezza del film puramente di genere, manca il coraggio di scendere nei meandri della psicologia criminale, manca un’estetica che connoti tutto di un senso esclusivo. Ma soprattutto manca l’immagine, intesa come concentrazione di senso filmico in grado di narrare senza l’ausilio delle parole. Invece i dialoghi esplicativi sono buttati lì, come banalità costruite per mandare avanti la storia senza alcun riguardo al mestiere. Grave mancanza, quella di Affleck che nella sua prima regia del 2007, Gone Baby Gone (*) aveva regalato un lieve sussulto complice  il bellissimo testo di Dennis Lehane autore anche di Mystic River.

Soprattutto pessimo attore, Affleck  si accolla l’onere di espandere la propria faccia sullo schermo oltre il massimo consentito impegnandosi in lunghi dialoghi con la controparte femminile ammiccando faccette, mossette, sospirotti degni della peggior recitazione da Sundance.

“Mi sono ispirato a Gomorra” ha dichiarato Affleck alludendo all’unità di tempo e di spazio tra la macchina da presa e la realtà: Charlestown, il luogo dove si svolge la storia è davvero preda di bande di rapinatori seriali, così come il set di Gomorra è nella realtà il luogo ove avvengono le vicende descritte nella finzione. Ma è come dire che i bambini cambogiani che cuciono i palloni delle multinazionali di abbigliamento sportivo a un dollaro al mese lavorano nel mondo del calcio.

Cercando qualcosa da salvare si può azzardare una scena in cui i rapinatori cambiano macchina vestiti da suore imbracciando i mitra e incrociano lo sguardo con un poliziotto che intuendo la gravità della situazione gira lo sguardo altrove facendo finta di non vederli. Guarda caso l’unica scena non parlata del film. E un apprezzamento va al comprimario, Jeremy Renner (era l’artificiere di The Hut Locker), l’amico violento di Affleck, che almeno lui regala momenti di ottima intensità. Tutto il resto è noia, direbbe Franco Califano.

 

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