Regia di Edgar G. Ulmer vedi scheda film
Uno dei film in cui Ulmer promette più di quanto non conceda. L'incipit de L'isola dei peccati dimenticati mostra un demi-monde di reietti internazionali che fuggono dal loro passato - o magari solo dalla giustizia dei rispettivi paesi -trascorrendo le ore in un caffè dall'aria peccaminosa gestito dalla viperina Gale Sondergaard. E così lo spettatore si immagina chissa quali sviluppi futuri. Ma l'impressione dura poco: gli scenari esotici, le musiche orientaleggianti, la stessa presenza della Sondergaard, attrice americana di origine danese ma specializzata in ruoli di eurasiatica, sono di prammatica. Ulmer qui ha lavorato in fretta, e si vede. L'intreccio (basato su un racconto dello stesso regista) non è solo abborracciato come al solito, ma in parte anche squilibrato: la scena del recupero dell'oro, con John Carradine sulla nave mentre il socio scandaglia gli abissi marini, è statica e interminabile rispetto al concitato susseguirsi delle restanti vicende. Gli intermezzi musicali sono inutili e servono solo ad allungare il brodo, in attesa della salvifica pioggia finale che ancora una volta sbaraglierà il male e i cattivi, concedendo ai protagonisti di ricominciare da zero. La regia di Ulmer è pressoché inesistente. I movimenti di macchina, ridotti al minimo, conferiscono al film un'atmosfera teatraleggiante: gli attori sono inquadrati quasi sempre di fronte, e anche quando si assiepano intorno a un tavolo badano sempre a lasciare sgombro il lato anteriore, come su un palcoscenico. Nella scena della prima discesa in acqua, gli stessi aiutanti malesi sul fondo della scena assistono stolidamente ai dialoghi tra i due protagonisti, senza saper troppo che fare, quasi fossero a teatro essi stessi. Infantili dovevano apparire poi anche negli anni '40 gli effetti speciali per riprodurre le nuvole temporalesche attraverso la convergenza di due immagini speculari. Ciò che di buono resta si deve agli attori. Gale Sondergaard, pur molto meno femme fatale di quanto non fosse in Ombre malesi (1940), convince nei panni della maîtresse dal cipiglio ma di buon cuore. Ma è soprattutto John Carradine che regge il film con la sua interpretazione del riottoso e sardonico avventuriero Mike Clancy. Lo si ritroverà l'anno dopo nel suo miglior ruolo ulmeriano, di Gaston Morrell, nel post-espressionistico La follia di Barbablù.
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