Regia di Mark Romanek vedi scheda film
Parto dalla premessa che non ho letto il romanzo di Ishiguro.
Il film di Romanek è una di quelle pellicole che devono essere metabolizzate più lentamente rispetto ad altre. Ad un primo approccio può sembrare un film che pur avendo momenti di estrema intensità (gli ultimi venti minuti sono veramente grandiosi in questo senso), può apparire nel suo svolgersi piuttosto freddo e distaccato.
Ciò che colpisce però è la sua grande capacità di creare molteplici riflessioni non tanto per ciò che viene mostrato, quanto per quello che non si vede o viene solo appena suggerito. Il taglio quasi esclusivamente intimista dato alla vicenda, limando il contesto sociale su cui si sviluppa la storia dei tre protagonisti, in fondo è la carta vincente della pellicola.
Il controllo della società sui protagonisti è tanto ferreo per quanto invisibile e pressochè impalpabile se non per piccoli particolari (i braccialetti elettronici), alimentando un senso di muta rassegnazione che permea tutto il film.
Una rassegnazione creata da una distopia sociale aberrante che ha operato una scelta netta in nome di un progresso scientifico che ha sconfitto le malattie, ma allo stesso tempo uccidendo la propria coscienza ed etica collettiva, negando a queste "povere creature" lo status di esseri umani: il possedere un'anima. Sono animali da allevamento, "replicanti" che non vedranno nulla di straordinario da rimpiangerne la perdita.
Non è facile trovare pellicole di questo genere di questi tempi. I richiami a quel cinema di fantascienza a sfondo sociale degli anni 70 è ben presente ed a caldo mi ricorda per assonanza una pellicola come Soylent green, proprio per l'idea del "riutilizzo" del materiale umano, ma il contesto sociale di sfondo era molto più palese rispetto a Non lasciarmi.
Da lodare l'ottima prova del dei tre protagonisti perchè anche grazie alla loro sensibilità hanno reso in maniera eccellente la parabola dei loro rispettivi personaggi verso un destino già scritto.
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