Regia di Mark Romanek vedi scheda film
In questo film, ciò che lascia stupefatti è la passività delle esistenze al loro destino votato alla morte (tramite donazione organi) in quanto cloni, e pertanto diverse ontologicamente dall'umanità.
Il regista segue la passività in riprese superbe con tutto lo struggimento evocativo che esse possono scatenare nello spettatore non indifferente, che naturalmente prende parte alla loro sofferenza indicibile pur sapendo di essere dall'altra parte della barricata.
In questa prima interpretazione, naturalmente se ne cela un'altra ben più inquietante: quelle esistenze predestinate alla morte, che lasciano qualche traccia di amore, di espressione artistica, di gelosia, di smarrimento e attaccamento alla vita, soprattutto nell'infanzia e nell'adolescenza, ma che al tempo stesso accettano il loro destino pur sapendo che vivere non è mai abbastanza, alla fin fine, non sono altro che l'esistenza di ciascuno di noi, alla quale resta, come unica possibile autenticità, una presa di coscienza radicale di essere-per-la-morte, nel senso heideggeriano dell'espressione.
Ma se in Heidegger tutto ciò è in un'ottica filosofica, con tutte le conseguenze che essa implica, ossia la rigorosa distinzione tra il piano esistenziale e esistentivo, tra il piano ontologico e quello ontico, nel film, invece, questa distinzione tende a svanire, e tutto rischia di cadere nell'ontico, in una disponibilità concreta alla morte, vissuta, appunto, in una passività, a tratti quasi morbosa.
Ed è proprio qui che la perplessità mi si fa avanti, perchè una visione del genere si presta a molti giochi interpretativi, non solo esistenziali, ma anche di compiacimento del sacrificio fine a se stesso, che rischia di diventare non più un elemento di criticità, ma una possibile premessa, certo in buona fede, che prelude all'apologia dell'accettazione supina, a qualunque costo.
E' un film che per certi versi esprime in modo magistrale il senso transuente di ogni esistenza, e l'inautenticità di chi ne è distratto, ma al tempo stesso, ripiegato nel dramma, ne scaturisce, tra le pieghe, un compiacimento autoreferenziale per il dissolvimento, e la perplessità sta proprio in questo tenere insieme, in modo un pò artefatto, queste due faccie della medaglia. A parte questa mia presa di posizione morale e forse moralistica, gli attori per tutto il tempo mantengono un altro profilo di recitazione, seguendo i ritmi sempre più incalzanti verso un finale esteticamente ineccepibile.
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