Regia di Mark Romanek vedi scheda film
Se ogni valore morale deve misurarsi con la realtà cui lo si applica, Non lasciarmi non poteva che essere raccontato in un presente distopico. In un’Inghilterra uguale e diversa da quella contemporanea, tre ragazzi (Mulligan, Garfield, Knightley: uno più bravo dell’altro) cresciuti in quello che (a loro) sembrava un istituto per orfani, scoprono di essere dei cloni “realizzati” come riserve di organi umani per malati facoltosi. Donatori per nascita, e non per scelta: ma vivi, pensanti e sofferenti. Come gli “altri” che dovrebbero aiutare. In fuga alla ricerca di se stessi (e delle loro “matrici” umane), sogneranno (invano) di poter mutare il loro destino e scopriranno la verità amara sulla natura sperimentale della loro educazione. Il romanzo del “trans-coloniale” anglonipponico Kazuo Ishiguro è già, per se, un testo che si presta quant’altri mai a speculazioni (anche politically uncorrect…) sui limiti dell’eugenetica. E che anche, di fatto, evoca (esige?) una riflessione su un’allarmante “bioetica 2.0” (più avveniristica che fantascientifica) dove fauna e flora non bastano più alle necessità primarie dell’uomo, ma dove l’uomo stesso diviene risorsa per la sua razza. Con tutte le conseguenze economiche (leggi: classiste) e morali che ciò comporta. Il film del neokubrickiano Romanek, come il suo precedente One Hour Photo, insegue un’estetica di paradossale dolcezza plumbea, affogando il rumore di fondo del quesito politico portante (quanto manca al passaggio del consumatore a oggetto di consumo?) in una melodia sentimentalistica. Che spesso ha passaggi struggenti, ma che rischia anche di essere (ancora) inghiottita da un arrangiamento autocompiacente. Il “mélo steampunk” che stuzzica il sentire cinefilo lambendo filigrane romeriane o cronenberghiane, e l’empatia per gli epigoni low tech dei replicanti di Blade Runner che chiedevano “più vita”, ci sono. A mancare, però, è lo scarto che fa di un processo mentale isolato un’esperienza emotiva partecipata. Che è poi quello tra morire e vivere.
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