Regia di Mark Romanek vedi scheda film
Questo è un film da vedere. Per l'equilibrio, prima di tutto. Per come sceglie di parlare del futuro anche se allo spettatore sembra di essere nel passato. Per come mette in discussione, senza cadere in cliché, la scienza e l'umanesimo. E attraverso di essi, la società. La società, che con le dovute metafore, è già la nostra. Società che spinge al massimo la scienza fino a pensare di creare cloni delle persone in modo che possano fornire "pezzi" di ricambio nel caso di tumori, sclerosi multiple e altre malattie alle quali pare non si trovino cure efficaci. Romanek non sembra morbido neppure con l'altro fronte, quello degli umanisti. Il tema dell'anima che può essere capita attraverso le espressioni personali - nel caso del film, i disegni - rimanda direttamente alla psicologia e al suo tentativo di cogliere il segreto alchemico della vita, psicologia che spesso in definitiva si limita a confermare che per lo meno un'anima esiste. Never let me go cela tutto ciò sotto un manto di apparente sentimentalismo e lasciando allo spettatore il compito di scoprire uno alla volta gli innumerevoli strati di cui è composto. Gran mossa. Non solo perché in questo modo l'autore evita di imporre la propria interpretazione e visione univoche (cosa c'è di peggio che chiudere ogni porta alla discussione e dichiarare la verità?). Ma anche perché, così facendo, ogni spettatore è libero di scegliere fin dove spingersi, è libero di interpretare il film alla luce delle proprie esperienze, curiosità e conoscenze. E' libero persino di annoiarsi e non voler capire. Perché, anche se sussurrando, Never let me go comunica amarezza e follia. E un'idea possibile di amore. Un po' consolatoria. Ma siamo umani.
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