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Non lasciarmi

Regia di Mark Romanek vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non lasciarmi

di ROTOTOM
10 stelle

In una contemporaneità distopica, gruppi di bambini vengono clonati per fornire pezzi di ricambio alla gente “normale” in qualità di donatori. Grazie a questa pratica la società ha sconfitto malattie come il cancro e la sclerosi multipla e  la vita media si assesta ben oltre i 100 anni. 

Tratto da una novella di Kazuo Ishiguro, Non lasciarmi è la storia di tre ragazzi “donatori”  e del loro intrecciare passioni e tradimenti, cercare risposte ad una vita a termine fisso, dare una spiegazione alla funzione che li governa. Questo film, va detto subito, è straordinario.
A dispetto della trama, che farebbe presagire ad un fanta thriller, ci si trova testimoni di un’opera di tale grazia e poesia da restare storditi. Limite estremo della fantascienza nichilista e distopica, Non lasciarmi è una pellicola visionaria senza nulla di visivo che faccia pensare al genere della fantasia della scienza.
 L’Inghilterra è quella che conosciamo, pesante, plumbea e pomposa. La sintassi è quella del film sentimentale ma il sottotesto brucia nell’anima cambiando radicalmente il senso delle paure dei ragazzi in qualcosa di terribile. La fantascienza in questo caso si libera di tutti gli orpelli tecnologici per rimanere pura astrazione, lo sguardo negato sulle metodologie tecnologiche rafforza la componente filosofica delle conseguenze di tali metodologie.
Lo scarto tra causa e effetto dilata l’etica su concetti di livello universale e genera una profonda empatia nei confronti dei bambini Kathy, Tommy e Ruth, nel seguirli durante l’ apprendistato  nella grande casa- scuola che li accoglie e successivamente nell’età adulta quando cominceranno a donare gli organi. A fin di bene.

Il film ambientato in Inghilterra accoglie pienamente il significato dell’opera letteraria che conserva il senso del sacrificio del singolo per preservare la società, tipico nella cultura giapponese. I kamikaze della seconda guerra mondiale ne sono un esempio, i pompieri impegnati nel contenimento dei danni alle centrali nucleari causati dallo tsunami non sono altro che l’evoluzione di quegli eroi che si lanciavano carichi di esplosivo sulle navi nemiche.
Quello che è realmente struggente è la consapevolezza del ruolo che questi donatori portano nel cuore, del senso profondo della vita che deve finire un ciclo quale esso sia, nonostante il termine delle loro giovani vite di cloni siano scandite dalla fredda determinazione della società di rigenerarsi a loro spese. Non solo c’è l’accettazione del ruolo, è il sostegno al rinnovarsi di questa condizione che i cloni perpetrano, secondo un codice etico pienamente assimilato, offrendosi come assistenti alle donazioni dei compagni.
Nonostante questo, il film è intriso di un’amarezza e una plumbea cappa di fine imminente, quello che traspare è che anche le condizioni di etica della donazione siano alla fine e la società abbisogni di pura carne da macello piuttosto che di “samurai”.

I cloni hanno o non hanno anima? Si può amare la vita più della vita stessa? Viene in mente il famoso monologo del replicante Roy Batty di Blade Runner, che salva la vita a Dekard solo perché la vita è preziosa a prescindere.
Ecco, lo sguardo di  Mark Romanek , regista dotato di uno spiccato senso poetico montato su un’estetica di kubrickiano rigore, è focalizzato sulle copie vuoto a perdere ,  sulla  consapevolezza del  destino che è stato loro assegnato, per ruolo, dalla società, spostando il dubbio etico direttamente sullo spettatore.

Ragazzi venuti dal nulla, da un’idea astratta di salvezza fuori dalla grazia di Dio. Se una volta il buio della mente generava mostri, l’oblio di una società autofagocitante e eterna genera esseri vergini, espressione dilaniata della poesia dell’essere umano che rifiuta ogni compromesso etico pur di salvare il culo.
Sarebbe un miracolo, invece è un delitto perpetrato con seriale lucidità. Le identità dei tre protagonisti si riempiono gradatamente della consapevolezza di vita, creando sublimi e commoventi momenti di ingenua speranza. Strane creature, dolci e complesse, fragili e fallaci, formano il termine di paragone con la società degli umani padroni sporadicamente rappresentati, quasi invisibili. Sembrano angeli soli.
 Romanek acuisce il senso di vuoto riempiendo di sensazioni, rintocchi di silenzio, scavando nei volti degli attori. Rifiutando sistematicamente il climax,  insinua sotto pelle un malessere languido, una reminescenza che risveglia nello spettatore le braci dell’empatia verso il debole soffocata dall’egoismo della vita di tutti i giorni. Immagini che non servono a nulla, come i disegni di Tommy, rappresentanti la sua anima e che servono solo a se  stesso per realizzare di esistere e abbandonarsi al proprio destino con serenità. 
 
Disturbante e annichilente è intuire, poiché tutto il film è un continuo suggerire sensazioni senza alcun didascalismo, come una società rappresentata in  modo normale, così come la si conosce, abbia come caratteristica fondante della propria esistenza un classismo di cieca ferocia. La società borghese si rinnova con pezzi di cloni con un programma metodico, spietato e amorale.
Per noi, che siamo “di qua”.
Nel mondo possibile creato nel film, è perfettamente accettato. La connotazione distopica, l’Inghilterra così uguale e così radicalmente diversa, funge da specchio in cui ogni condizione etica e morale è funzionale alla società verso la  quale si rapporta, insinuando il sospetto che il presente rappresentato non sia altro che l’anticamera di un futuro possibile.

Non lasciarmi
è un film politico, un potente melò in debito d’amore dalle forti connotazioni simboliche e genuinamente emozionante. I tre interpreti, Carey Mulligan, Andrew Garfield e Keira Knightley sono di una bravura imbarazzante, portando sui volti e sui corpi con consapevole leggerezza e intensità tutta la responsabilità dell’azzeramento di ogni distanza tra la vita e la morte.
Imperdibile.

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