Regia di Mark Romanek vedi scheda film
Mi ci sono volute tre visioni, a distanza di qualche giorno l’una dall’altra, per riuscire a scrivere di questo film. La prima mi ha lasciato sbigottito e attonito. Dopo la seconda c’erano solo la rabbia, la pena, e un’emozione fortissima. E solo dopo la terza, finalmente, il cervello ha potuto mettersi in moto, perché questo non è un film per la testa, ma per il cuore. Tre visioni mi ci sono voluto per metabolizzare, per capire, per riuscire a spiegarmi cosa siano state le vite di quei ragazzi, e solo quando l’emozione si è fatta un po’ da parte, al cervello sono finalmente arrivate, comprensibili, le parole di Kathy H. (quel nome tronco, integrità negata). “Siamo molto orgogliosi di quello che facciamo”, spiega Katy H. all’inizio del film. E ancora, ciò che dirà all’epilogo: “Non sono sicura che le nostre vite siano così diverse da quelle di coloro che abbiamo salvato”. Qui sta la chiave per scardinare l’assurdità di cui sembra rivestita tutta la vicenda, una storia di fantascienza, certo (è tratto dall’omonimo romanzo “Never Let Me Go” del giapponese inglesizzato Kazuo Ishiguro), ma dove non essendoci alieni, o androidi, o effetti speciali, ma solo un’umanità talmente intensa da far dimenticare di quale genere si tratti, difficilmente ci si trova disposti a dare alla parte fantastica ciò che ella giustamente richiede. Kazuo Ishiguro, che ha collaborato alla sceneggiatura e che si è dichiarato soddisfatto del film, trovandolo fedele sia nella narrazione, sia nella caratterizzazione dei personaggi, in un’intervista ha dichiarato di avere un approccio pragmatico rispetto alla donazione di organi. Il film va molto oltre questo approccio, le vite di Kathy, Ruth e Tommy non sono solo vite possibili (con il termine “Possibile” i ragazzi di Hailsham definiscono le persone dalle quali sono state clonate), sono esperienze cristiche vere e proprie, sono vite ultra-umane che nulla sanno della loro natura, e che per questo, per questa loro inconsapevolezza che li porta a vivere e a morire come docili animali d’allevamento, destinati alla macellazione alla quale essi stessi si accompagnano tra loro, acquistano una dignità e una nobiltà al cospetto della quale, noi umani semplici, ci si ritrova al limite estremo della sopportazione. E’ un’umanità inferiore quella che strappa i loro organi, quella incarnata dalla direttrice di Hailsham (lo sguardo glaciale di Charlotte Rampling era il migliore che si potesse scegliere), della direttrice della Galleria, della stessa, imbarazzata tutrice Lucy che si prenderà la responsabilità di raccontare ai bambini come stanno veramente le cose e che per questo verrà allontanata, della “Possibile”, bella impiegata di Norfolk attraverso la quale Lucy tenta di raggiungere le sue “origini”. Ma l’origine dei ragazzi di Hailsham, lo sapremo dopo tre visioni, è praticamente divina. Di ciò non se ne accorgeranno (temo) neppure dopo la ventesima visione quelli che (già lo so), quando qui in Italia uscirà nelle sale, useranno questo film per la loro propaganda. Già li sento straparlare i pro-lifers, i bestioni rozzi e malfidati alla Giuliano Ferrara, quelli che “la vita non si vota” appesi nelle chiese ai tempi del referendum sulla legge 40, vomiteranno bava sventolando il trailer del film sui pericoli della deriva eugenetica, la diagnosi pre-impianto, la fecondazione eterologa assistita, le cellule staminali… Mi tapperò le orecchie e mi tapperò in casa a rivedere di nuovo questo film meraviglioso e struggente, la sua fotografia impeccabile, un accompagnamento musicale perfetto, una storia di vita e d’amore sublime, un cast eccellente (qui solo un fugace applauso per Andrew Garfield e Keira Knightley, mentre per Carey Mulligan, ahimè!, dovrò ricorrere all’apposito boxino), bambini inclusi.
In tempi non sospetti, quando ancora non aveva ancora ricevuto la nomination all’Oscar per “An Education” (premio poi andato a furor di popolo e a rigor di logica, seppur logica di establishment, a Sandra Bullock), dissi (e qui scrissi) di lei che era nata una stella. Non posso che riconfermarlo, anche se rilevo con rammarico che la mia beniamina sta prendendo una piega sbagliata e pericolosa. Escluso appunto “An Education”, la si è poi rivista solo in ruoli drammatici e, diciamo pure, un po’ sfigati, costretta alla parte del cagnolino bastonato, qui come nel piccolo, ma importante ruolo nel film di Oliver Stone “Wall Street 2” dove recita la parte della figlia di Gekko, o peggio ancora nel pessimo “Gli ostacoli del cuore”. Basti invece notare come le si illumini il volto in quelle rare occasioni in cui a Kathy H. viene chiesto di accennare a un sorriso, per rimpiangere la Genny del suo primo film da protagonista, un film frizzante, brillante e allegro, genere che credo si addica alla perfezione alla Mulligan, fermo restando che la sua rara espressività e il suo indiscutibile talento, uniti alla sua innegabile, sacrosante ambizione, le permettono di percorrere qualsiasi strada. Le rinnovo i miei auguri, e rinnovo con chiunque la scommessa che, appunto, “A Star Is Born”.
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